giovedì 3 aprile 2014

Diverso da chi?


Sono due le notizie di questi giorni che hanno attirato la mia attenzione.
Due facce della stessa medaglia.

L’ennesima grande sconfitta italiana.

La storia di Donatella, finita all’ospedale 15 volte in 18 mesi (quasi una volta al mese, che media terrificante) a causa delle botte, ennesima vittima di violenze domestiche che non aveva mai avuto il coraggio di denunciare il suo compagno.

E l’agghiacciante anatema scagliato da Bagnasco, il cardinal dei cardinali, contro la diffusione a scuola di pubblicazioni informative sulle differenze di genere redatte da UNAR (cliccate per vedere chi sono e che grande lavoro fanno).

Ancora una volta abbiamo perso l’occasione di crescere, informarci, uscire dalla comoda tana dell’ignoranza, che pare che mettere in moto il cervello sia una fatica immensa in questo paese.

Gli opuscoli di UNAR si intitolano “Educare alla diversità a scuola”, e sono tre, divisi per fasce d’età: elementari, medie e superiori.

Sono pubblicazioni dedicate per lo più agli insegnanti, con informazioni, suggerimenti e iniziative volte ad arginare il fenomeno del bullismo, quando il gruppo si accanisce contro un diverso.
Che può essere diverso per tanti motivi: perché grasso, nero, handicappato oppure omosessuale.

E ancora una volta ecco arrivare l’ingerenza della Chiesa Cattolica in territorio notoriamente laico: la scuola.
Buffo che l’accusa di “indottrinamento” riferita a questi volumetti, arrivi da un alto prelato, che ha fatto della dottrina cattolica il suo modus vivendi e soprattutto operandi.
Che semmai dottrina dovrebbe essere più adeguatamente riferito ad una religione, e alle modalità spesso discutibili di propaganda e conversione, che non a un volume che si colloca tra l’informazione scientifica e l’educazione civica.

Si finanziassero le loro belle scuole bigotte e la smettessero con queste gravi ingerenze. Stato laico un par de palle.

E grazie all’intrusione dell’unica vera lobby che esiste in Italia, la Chiesa Cattolica, i nostri figli perderanno l’opportunità di essere informati in maniera obbiettiva; la scuola italiana ancora una volta deve piegarsi ad un potere che non le appartiene, che a regola, in uno Stato laico, avrebbe diritto di parola ma non di azione.

Di fatto non è così, e il lavoro di tante persone, perché non si creda che questi tre volumi siano frutto dell’improvvisazione, è stato gettato nel cesso senza alcun rispetto.

Da chi poi?

Da chi ha dichiarato che un vescovo non ha l’obbligo di denunciare un prete in caso di accertata pedofilia; da chi accusa questi volumi di “distruggere la famiglia”.
Ma quale famiglia?
Quella di Donatella era una famiglia?
Le statistiche parlano chiaro: la maggiore percentuali di abusi e violenze avviene in FAMIGLIA.

Oh yeah.

La diffusione di queste edizioni a scuola era una delle opportunità per il nostro paese di mantenere viva la speranza che i bambini di oggi siano uomini migliori domani. Uomini che non picchieranno le loro donne, che non stupreranno i loro bambini, che non si accaniranno contro un omosessuale, pensando che tutto questo sia giusto e dovuto.
Erano una finestra verso il futuro, verso un mondo migliore, diverso, lungimirante e accogliente.

Ma no. Noi preferiamo restare qui a sindacare su famiglia, diritti dei bambini, buoni costumi e corretta morale.
Mentre anche l’Inghilterra legalizza i matrimoni fra persone dello stesso sesso (non che fosse una grossa novità, dato che le coppie di fatto erano già riconosciute davanti allo stato, indipendentemente dal sesso), noi continuiamo a vivere in un paese dove la pedofilia è al limite della legalità, e non è legale che due uomini o due donne si amino.

“Educare alla diversità a scuola”.

Quale titolo più onesto, più pulito, più ricco di speranza potevano trovare?

Non è certo “inneggiare alla promiscuità a scuola” (come se ce ne fosse bisogno… le cronache parlano da sole), oppure “favorire la pratica del trombamico in terza media”.

Educare alla diversità, includendo in questa parola moltissime categorie, diverse e non per questo meno meritevoli di attenzione o, al contrario, degne di attenzione solo quando si tratta di diventare bersaglio di scherno, molesite, violenza.
Educare alla diversità come ricchezza, come risorsa, come patrimonio unico di ogni essere umano.
Educare gli adulti, anche, in questo caso i professori, a riconoscere questa diversità e i comportamenti sbagliati che possono derivarne, in modo da arginarli sul nascere, e non arrivare a conseguenze tragiche di pestaggi, baby-prostituzione, suicidi.
Educare al rispetto di sé, prima ancora che per gli altri, che è solo una conseguenza.
Educare al libero pensiero e non alla dottrina, che venga da un alto prelato, da un libro o dal branco.

Educare in fin dei conti, uomini e donne liberi.

Per esempio, così:

“Il modo con cui ci faceva lavorare e imparare era tenere sempre accesa la testa, mai riposarsi nelle proprie conoscenze, mai pensare di aver trovato la soluzione giusta perché un momento dopo tutto poteva cambiare e ribaltarsi e uno rischiava di restarne escluso. Quella era la nostra paura: restare esclusi da un gioco che non finiva più, da una realtà che era finzione, ma era estremamente dura e vera. Si rideva tutti insieme di tutti e non qualcuno di qualcun’altro. Il bullismo lo subivamo noi dalle altre classi perché eravamo considerati quelli strani. Noi? Strani rispetto a cosa? Al fatto che non sapevamo dove fosse Bologna, o quante province avesse il Lazio? Ma sapevamo com’era fatto un vulcano perché eravamo andati a vederlo o cos’era un campo di concentramento perché ci eravamo entrati. A noi interessava questo, conoscere la vita , non sentircela raccontare. Nessuno di noi è diventato chissà chi, ma ho ognuno di noi è diventato speciale per sé stesso, per gli altri e per il Maestro.”
Donata Nicoletti, ex allieva del Maestro Manzi.

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