sabato 16 maggio 2015

Questa di Margherita è la storia vera.

Oggi vi racconto la storia di Margherita e Michele.
Margherita è una mia amica, vive non lontano da me; ha una bimba meravigliosa, un marito e un fratello maggiore.
Ha anche un fratello minore, Michele, disabile grave.
E una mamma anziana, invalida al 90%.

Quei 10 punti in meno le sono costati cari: nessuna pensione di invalidità, nessuna speranza di accompagnamento e da quest’anno, grazie alla nuova legge che regola l’ISEE, la rinuncia ad alcuni piccoli diritti, come l’assistenza domiciliare e il montascale.
Margherita può usufruire della legge 104 per suo fratello disabile, ma non per sua madre, che non cammina autonomamente e ha limitato l’uso di un braccio a causa di un incidente, e nonostante questo per lo Stato italiano è in grado di vivere senza alcun sostegno, fisico e materiale.
Sua madre vive con la reversibilità del padre, morto per colpa dell’amianto, ma per cui hanno rinunciato da tempo ad avere giustizia.
Margherita fin da ragazzina si è occupata a tempo pieno di Michele.
Michele è nato che lei non aveva nemmeno due anni, lo hanno dimesso apparentemente in buona salute; ma l’ospedale si è guardato bene di assumersi la responsabilità dei danni cerebrali gravissimi causatigli dall’uso scorretto del forcipe, che lo hanno costretto a restare un bambino per sempre.
Michele ha 40 anni, ma di fatto è come se ne avesse due.
E’ schizofrenico, con attacchi violentissimi tenuti sotto controllo dai farmaci e soffre di epilessia e gravi problemi circolatori.
Michele vive in un istituto per disabili durante la settimana; nel weekend torna a casa dalla madre, perché la retta intera costerebbe troppo.
L’istituto dove vive Michele non è convenzionato: questo significa che il costo di 850€ al mese è interamente a carico della famiglia.
Significa inoltre che se Michele non è in buona salute, basta un raffreddore, sono tenuti a mandarlo a casa.
La retta se la paga Michele, con la sua pensione di invalidità che arriva appena a 700€, e allora la completa sua mamma, con parte della pensione del marito.
Michele proviene da una famiglia umile, di lavoratori, di gente la cui unica vera ricchezza sono i valori: la famiglia, l’onestà, l’amore, la dignità.
Una dignità che in questi tempi stanno facendo di tutto per cancellare.
Gli unici ad avere fatto sacrifici per Michele sono sua madre, suo padre, sua sorella e suo fratello.
Suo padre lavorava da una luce all’altra, Natale e Capodanno compresi per garantire un’esistenza dignitosa alla sua famiglia.

Margherita non ricorda di avere trascorso con lui una festa o un fine settimana.
Margherita non ha avuto un’infanzia, non ha avuto un’adolescenza e, allo stato attuale delle cose, rischia di non avere un futuro per sé e per la sua bambina.
Margherita fa l’operaia, usufruisce della 104 quando può, e questo fa storcere il naso ai suoi datori di lavoro.
Parte del suo stipendio se ne va in aiuto alla madre, che non arriva a pagarsi le bollette e per fortuna non deve pensare all’affitto, ché la casa dove vive l’ha costruita suo marito, pietra su pietra.
Margherita è cresciuta badando al fratello, all’ombra della sua invalidità, schivata da tutti, isolata dal mondo che non accettava quell’essere strambo, incomprensibile, che a volte metteva paura.
Margherita non andava al parco giochi, non era invitata alle feste di compleanno, non sa cosa voglia dire andare a mangiarsi una pizza o un cinema con le amiche.
Un anno alcune madri ritirarono persino i figli dalla classe di Michele, per non avere niente a che fare con lui.
E se “gli altri” ti abbandonano, ti aspetteresti che almeno le istituzioni potessero garantire a te e ai tuoi cari un’esistenza dignitosa.
Oggi non è così.
I soldi non bastano, 3 giorni al mese di 104 non bastano. Michele spende quasi 100€ al mese in farmaci salvavita non mutuabili, per tenere sotto controllo l’epilessia e gli attacchi causati dalla schizofrenia.
La sua pensione se ne va nella retta dell’istituto che lo accoglie, e gli permette una vita dignitosa, curato da persone competenti, che conoscono la sua patologia capaci far uscire fuori il meglio di lui e stimolarlo a crescere e a maturare più che può.
Margherita fa i salti mortali, dividendosi tra una madre invalida che agli occhi dello Stato non esiste, e un fratello disabile grave, che agli occhi dello Stato è autosufficiente dall’alto del suo CUD di 3.600€, grazie al quale non è più a carico della madre.
L’ISEE aumenta, i diritti diminuiscono.
La Asl non ha altri soldi da investire sul suo istituto.
E la sua condizione è destinata solo a peggiorare, insieme a quella della madre anziana. Ed arriverà il giorno in cui Michele dovrà essere ricoverato 7 giorni su 7, con un aumento della retta di quasi il 40%.
Se avete figli, provate ad immaginare la stanchezza nell’accudirli quando sono piccoli, quando si ammalano, quando fanno i capricci, quando si intestardiscono a non mangiare, o vogliono infilarsi SOLO quella maglietta, quando di notte di non dormono e al mattino dovete alzarvi per andare a lavorare. Ricordate la stanchezza infinita, lo sfinimento, la frustrazione, la preoccupazione, sentimenti che a volte nemmeno l’amore per un figlio riescono a lenire, ma dove non arriva l’amore arriva la speranza, la consapevolezza che quei figli un giorno cresceranno, matureranno, diventeranno grandi, responsabili e capaci di badare a se stessi, e forse anche a voi, una volta vecchi.
Provate adesso a cancellare questa speranza, e a sostituirla col fatto, inconfutabile e concreto che vostro figlio non crescerà mai. E aggiungeteci le reazioni violente dovute alla schizofrenia, che possono avere esiti pesantissimi sull’incolumità di una persona e di chi gli sta attorno.
Quindi ci sarà l’amore, le gioie, le soddisfazioni, le risate, ma anche tanta tanta stanchezza e tutte le difficoltà dell’accudimento di un bambino su un uomo di 40 anni.
Voi non vorreste un futuro tranquillo e degno per vostro figlio? Michele non diventerà mai ingegnere, astronauta o calciatore, ma ha diritto a vivere una vita dignitosa fino alla fine dei suoi giorni. Circondato dall’amore dei suoi cari ricevendo le cure mediche che necessita.
Oggi come oggi tutto questo è possibile grazie agli enormi sacrifici delle persone che gli vogliono bene.
Ma domani?




lunedì 4 maggio 2015

The Royal Baby


Bene, parliamone. So che sto per pubblicare qualcosa di insolito per la mia bacheca ma…: Kate Middleton. Sì sì, avete letto bene, non il Royal Baby.


KATE MIDDLETON.

Perché è così e ci siamo passate tutte: dal momento in cui quel maledettissimo test segna due lineette rosa tu non sei più tu. Tu sei l’appendice di un altro microessere e sarà così almeno per tutta la vita.
Prima sei “la panza”.

Ma che bella panza!
Ma ciao panzetta!
Ma come sta la mia panzotta?

Basta, la tua identità è perduta per sempre nei meandri ormonali e non della maternità.

Quando poi il principino (perché diciamolo: tutti i nostri pupi sono principini, mica solo il Royal Baby!) viene al mondo, tu non sei più tu. No. Tu sei “la mamma di” (e vi risparmio quanto tutto questo sia stato frustrante in Africa, dove persino i parenti in quindicesimo grado e i passanti per strada ti chiamano “mamma-di-tizio”!).

Ora immaginatevi come deve sentirsi ‘sta povera anima della Kate, che non era già più Kate quando ha deciso di accompagnarsi al bel bietolone d’Inghilterra.
Piano, piano, rinfoderate l’ascia di guerra e asciugatevi la bava da rabbiose: lo so che si è impalmata uno dei 5 uomini più ricchi al mondo, e che per osmosi probabilmente invece della cacca produrrà diamanti ma… c’è un ma. Tutto questo a che prezzo?

Mi rivolgo a voi, puerpere che furono. Non ditemi che avete dimenticato il trituramento di palle del parentame nei giorni prima della fatidica delivery date.
Chiamate da ogni angolo del globo: “Si fa attendere eh l’erede?”
Nonne intente a sferruzzare e puntincrociare compulsivamente al grido di “Allora? Ancora niente?”
Non essere più libera di fare una telefonata a tua madre senza che questa alzi la cornetta con voce affannata proferendo le uniche due parole rimaste nel suo vocabolario: “Ci siamo?”

Grande aiuto per diminuire la pressione.


E immaginatevi questa pressione moltiplicato per quel paio di miliardi di persone attaccate a ogni forma di comunicazione virtuale e non, che nel mondo attendono la notizia, anziché farsi una padellata di sanissimi cazzi propri. Con l’ausilio ovviamente dei media che campano di questo ciarpame.

E non apprezzano la discrezione di una delle donne (potenzialmente) più potenti del mondo che a differenza delle Belin/Belen nostrane non ha speso nemmeno un rigo su twitter per raccontare i suoi mal di schiena, le nausee, le ansie, le preoccupazioni e le gioie di ogni neo mamma.
E mi auguro che continui su questa linea di discreto silenzio, dato che ci siamo già noi, qui fuori, a far rimbombare ogni peletto che tira alla sua regale mussa sulla grancassa del nostro voyeurismo.

Un po’ di silenzio cacchio, un po’ di pace per quello che è l’unico momento, insieme alla morte, che appiana i livelli sociali e ci rende tutti (e soprattutto, tuttE) uguali.

Una mamma col suo bimbo, niente più.