mercoledì 14 ottobre 2015

Se Parigi avesse lu mere, sarebbe una piccola Genova


Per chi ancora non l’avesse capito, sono stata qualche giorno a Parigi, insieme alla fida Magenta.
Un ritorno alle origini, dato che l’ultima volta ci siamo state, sempre insieme, ventenni e fresche di laurea.
Niente di epocale, direte voi, ma cercate di capire: due mamme che abbandonano i pargoli per darsi alla pazza gioia tre giorni nella Ville Lumière non è cosa che capiti tutti giorni.
Parigi ci ha accolto con l’ormai nota cortesia dei parigini, e questo già mi ha fatto sentire a casa.
Io non amo fare generalizzazioni, ma da genovese che fa della scortesia verso i turisti un marchio di fabbrica e quasi un vanto, non posso che compiacermi nell’aver trovato un popolo più antipatico di noi.
Il turista medio, arrivando a Parigi, resta scioccato dalla spocchia che rasenta spesso la maleducazione
Niente di tutto questo mi ha minimamente spostato: il mio standard di accoglienza è piuttosto basso. Del resto sono abituata a locali che chiudono alle otto di sera, e a camerieri che alle 19.30 cominciano a girare le sedie sui tavoli e a passare lo straccio per terra nonostante tu stia sorseggiando la seconda birra in compagnia.
A Roma sono arrivata ad abbracciare una cameriera che è venuta a scusarsi perché non avevano più il vino che avevo ordinato e per farsi perdonare me ne ha servito uno più costoso allo stesso prezzo.


Parigi, come Genova, ti accoglie con una bellezza sfrontata e decadente.
Non ha bisogno di vendersi, E’ PA-RI-GI.
Genova ha la stessa presunzione, non per niente è detta La Superba. Il turista lo schifa proprio, e chissenfrega se di turismo ci potremmo campare, io la domenica c’ho da andare a vedere il Genoa, mica posso tenere aperto per queste quattro beline che vogliono fare l’apericena.
Parigi invece sonnecchia tutto il giorno, come un gatto, per prendere vita la sera.
Non per niente è stata soprannominata la Ville Lumière: la Senna al tramonto è qualcosa di spettacolare, e la Tour eiffel illuminata, beh… c’è bisogno che vi spieghi quanto sia emozionante vederla dal vivo?
Ecco, allo stesso modo i parigini non ritengono necessario spiegarvi che ingrediente c’è in quel determinato piatto, o come arrivare alla stazione della metro.
“Là-bas” è il commento più diffuso, quando si sprecano a parlarti con aria annoiata.
Più spesso si limitano ad un gesto frettoloso con la mano.
Non parliamo dell’imbarazzo quando non capiscono cosa gli stai chiedendo, che li fa mettere sulla difensiva, facendoli diventare insensatamente aggressivi.
Mi chiedo a volte se non siano in grado di gestire lo stress dell’approccio, se sia timidezza o se in qualche modo ti stiano mettendo alla prova.
E anche la città riflette questo stato d’animo, impassibile e nevrotico al tempo stesso.
L’impressione, da fuori, è quella di un caos ordinato, dove tutti gli elementi girano alla velocità della luce senza scontrarsi mai, arrivando sempre impeccabili a destinazione.
E’ il tragitto che li frega.
Le case sono minuscole, tanti piccoli alveari raccolti in palazzi liberty, in contrasto con gli spazi immensi dell’esterno.

Le ragazze sono bellissime, ma vestite malissimo.
Il packaging non importa a Parigi e nemmeno ai parigini, e il ritorno prepotente agli anni ’90, con i pantaloni a vita alta e l’acqua in casa alle caviglie e le Stan Smith ai piedi, non li spaventa.
Io e Magenta ci siamo sentite un po’ a casa, tra la nostalgia dei vent’anni e il rigurgito dei mitici 90’s.
Abbiamo camminato come disperate, facendo tutte le tappe obbligate, iniziando dal mercati delle pulci di Saint-Ouen (con pezzi di modernariato très chic, da perderci la testa)

continuando con Montmartre salendo al Sacro Cuore con la funicolare

passando per Pigalle (di cui vi lascio qualche perla)


Notre Dame e il quartiere latino

e ovviamente la Tour Eiffel (mescolandoci ai maratoneti che correvano la mezza di Parigi, il nostro tempismo è qualcosa di incredibile)

e concedendoci da brave quarantenni la crocierina sulla Senna, che offre un punto di vista bellissimo della città.

Sulla Senna abbiamo anche passeggiato, scoprendo che Moccia ha colpito pure lì, o più probabilmente che non si è inventato niente: centinati di lucchetti sul Pont Neuf, a sigillare l’amore di un estate. (tra l’altro ho scoperto che esiste pure un rito nella tradizione voudun che mescola innamorati e lucchetti, non ricordo più bene in quale ordine).


Al Louvre siamo tornate sulle orme di Dan Brown, un altro dei nostri miti.
(E’ ironico, si capisce vero?).
 (vi presento Magenta, col suo consenso ovviamente)

Ci siamo riprese – culturalmente parlando -  visitando il museo di arte contemporanea del Centre Pompidou alle otto di sera, come solo noi possiamo fare.

Fra i “must”, imperdibile la terrazza dei La Fayette, dove abbiamo passato un pomeriggio coccolate da un tiepido sole, grande regalo del weekend, a sviscerare tormenti e delusioni nella speranza di lasciarli all’abbraccio di Parigi, che ci si offriva coi suoi tetti grigi in uno scorcio spettacolare.
Anche il su grigio(re) devo dire che mi ricorda Genova, specialmente vista dall’alto; “la grande tartaruga, con i tetti a scaglie grigie”, la chiamava Gino Paoli, che infatti ha cantato sia Genova che Parigi.
Abbiamo concluso il nostro tour con un giro al cimitero di Montparnasse, piccolo e non particolarmente bello (mica come noialtri che ci abbiamo Staglieeenoooo - da leggersi con pesante accento di Busalla), che accoglie però nomi quali Man Ray, Baudelaire, Brassai, Brancusci, Ionesco, Becket e Gainsbourg.
 

 

Comunque Parigi è sempre Parigi, bellissima e affascinante; come una bella donna che resta bella pure appena sveglia, senza trucco e coi capelli scarmigliati, e tu, che appartieni alla categoria di quelle da “caccolina nera di trucco nell’angolo degli occhi, pigiamone con orso, fiatella e finchè non mi date un caffè non vi parlo”, la ami, la invidi e la odi.

Così la immagini fare la cacca, e tutto si ridimensiona.
E allo stesso modo preferisci concentrarti sui difetti, perché non sei pronta ad affrontare tanta bellezza tutta insieme.
Parigi è bella però è sporca.
Parigi è bella però è caotica.
Parigi è bella però non raccolgono la spazzatura.
Parigi è bella però non c’è il mare.
Che se avesse “lu mére”, invece della “lumière”, sarebbe proprio come essere a Genova.

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