mercoledì 16 ottobre 2013

‘na tazzulella e café


Ma da quand’è che bere il caffè è diventato roba da “gente di un certo livello”?

E’ successo che in ufficio, stufi di rovinarci stomaco e giornate bevendo la brodazza da 30 cent che si ostinano a chiamare caffè, abbiamo deciso di fare colletta per comprarci una macchina del caffè.
La scelta è caduta su una famosa marca, quella del “what else?” per capirci, dato che hanno aperto un negozio di cialde qui vicino.

Oddio ho detto cialde, bestemmia.

Perché dovete capire che questo è un altro mondo; tu vedi queste pubblicità, dove il caffè diventa una specie di nettare degli dei, fatto per scaldare l’anima in una giornata piovosa, o le mutande per un incontro inatteso dovuto a uno scambio di valigie.
 Io devo ammettere che sono abbastanza atipica; difficilmente mi faccio abbagliare da promozioni pubblicitarie, e non mi capita mai di precipitarmi a testare un prodotto che ho visto reclamizzare il giorno prima in tv.
Inoltre non amo particolarmente il caffè della macchinetta, nemmeno al bar. Sono un’affezionata della moka, che da brava italiana mi porto ovunque, col mio pacchetto di caffè della torrefazione di fiducia. E solo ultimamente, forse per via dei vari viaggi degli ultimi anni, ho imparato a bere il caffè senza zucchero, per apprezzarne a fondo l’aroma.

Ma questo è niente in confronto al mondo “whatelse?”
Devo ammettere insomma di essere arrivata un po’ impreparata al mio primo acquisto di ciald crus.

Sì, avete letto bene, crus. Se vuoi farti un “whatelse” tu non compri cialde, compri crus.
21 aromi differenti, che ora, io mi rendo conto di essere troppo terra terra, ma stiamo parlando di caffè! E a meno che tu non sia il grandgourmetdesmescojons, sfido chiunque a trovare la differenza tra un Roma e un Arpeggio, tra una Rosabaya de Colombia e una Livanto.

Esssì, perché si chiamano così, come piccoli levrieri italiani dal pedigree di campioni.
Mica come nella torrefazione sotto casa mia, che ha la miscela arabica.
Punto.
Il massimo della distinzione è la macinatura: per moka o per macchinetta.

Ma i crus non li compri in un negozio qualunque, no.

Li compri solo, ed esclusivamente in un negozio “whatelse”, che non è un negozio, è uno modo di essere, di pensare, di vestire. Un altro mondo.

Entri e ti avvolge questa luce soffusa, una musica di sottofondo – o forse era solo nella mia testa, come nella pubblicità – una clientela scelta, che parla a bassa voce, che si distingue per la fattura del vestito, il labbro gonfio di silicone, la ventiquattrore in pelle di babbuino afgano.

E io che comincio a sudare come un cammello nel mio piumino cinese e nei jeans Oviesse – chesfidochiunqueatrovareladifferenzacoiGuessda150€ - mentre tutto intorno a me sfilano clienti leggiadre come modelle e uomini dalla mascella robusta, che sembrano appena usciti da uno spot di auto sportive.

Mi guardo intorno, le cromie degli arredi accostate con gusto, il design di qualche architetto di sticazzi che ha alternato con sapienza la zona in cui si vendono macchinette per il caffè che sembrano astronavi, l’angolo di degustazione del caffè, che ti viene sempre offerto quando acquisti crus – non so se mi spiego -  e il bancone di vendita dei suddetti crus; dietro al quale sono presenti 4 – come chiamarli? Commessi? No troppo poco - angeli custodi sì, che con sorriso affabile accaparrano ognuno una fetta precisa di clientela.

La prima a destra è una bella signora sulla sessantina che ricorda vagamente Fanny Ardant, capello sale e pepe, per nulla casuale, il giusto grado di rughe e di trucco, sorriso rassicurante, per le casalinghe della Genova bene che si azzardano a comprare il caffè di persona, anziché affidarlo alle mani maldestre della cameriera filippine. “Perché ti sé, chi, quandu ti acatti e cialde te offran o café cu i biscotti!”. (“perché sai, qui quando compri le cialde di offrono il caffè coi biscotti; filosofia genovese del pigliatutto.)
A fianco a lei un bellissimo ragazzo chiaramente omosessuale, sorriso affabile, che qui mica siamo alla Barilla.
Segue una giovinetta che avrà sì e no 20 anni, per la clientela ggggiovane, quella che il caffè lo prende alle 6 del mattino, di ritorno dalla discoteca.
Chiude la fila un ragazzo dai lineamenti duri, modi decisi, messo lì apposta per i giovani manager che popolano il quartiere genovese degli uffici.

Alle loro spalle un mosaico di tubi di crus, accostati per colore, con un sistema per cui non restano mai buchi, nemmeno quando sfilano via le confezioni per la vendita.
Che già che c’erano potevano almeno riprodurre, che so?, una Marylin di Andy Wharol, dico io.

Inganno l’attesa osservando i dettagli dell’angolo bar, che dovrebbe più correttamente chiamarsi “cerchio” bar, dato che il bancone è rotondo, ed avvolge una barista di mezza età, capello brizzolato cortissimo e abbigliamento “etnico”, un contrasto bizzarro in quella che sembra una capsula di 2001 Odissea nello spazio, tutta fatta di cilindri di cristallo.
Al posto suo mi aspettavo direttamente George, che tra una tazza e l’altra intratteneva le clienti cinquantenni della genova bene a suon di spogliarelli, smutandamenti e gridolini di apprezzamenti. Magari sotto una pioggia, multicolor di crus.
Che poi a me, lui, piaceva tanto quando faceva il dottor Ross in E.R….

Mi distoglie dalle mie divagazioni Fanny Ardant, è il mio turno e lei comincia un interrogatorio che manco fossi all’esame di maturità. “ha già comprato qui da noi? Ah, no è la prima volta bene… allora le faccio la tessera – minghia, pure la fidelity card, alluminium scurito, che ben si sposa col piumino made in china, perché prima di arrivare alla gold devo come minimo farmi due infiltrazioni di botulino e presentarmi con un trench Armani – ma… la macchinetta l’ha comprata qui da noi? NOOO?!”
Sguardo di disapprovazione.
“beh…no… sa… - balbetto io – abbiamo fatto una colletta coi colleghi….un’offerta…in un grande magazzino”
Colletta capite? Ho usato le parole COLLETTA, OFFERTA e GRANDE MAGAZZINO tutte nella stessa frase e nel negozio whatelse!!
Lei mi guarda con sguardo pietoso e mi fa “prego mi dica, cosa posso darle?”, pronta a sfilare al massimo un paio di tubi dal mosaico alle sue spalle.

E a quel punto, colpo da maestro: ordino 35 gusti di miscele diverse, acquistando l’equivalente di 100€ di crus (tre per ogni collega, che resti fra noi).
Ma ho omesso di dirle che anche per quelle avevamo messo una quota testa.
E infatti battuto lo scontrino lei mi fa “possiamo offrirle un caffè?”

Non ho avuto il cuore di dirle che avevo appena preso la brodazza da 30 cent in ufficio; e ho accettato di buon grado.
Ma poi mi son tenuta la tachicardia e il bruciore di stomaco tutto il giorno.
Ché io, "uomo della strada", il caffè lo bevo al mattino per svegliarmi e dopo pranzo per digerire.
E non c’era nemmeno George Clooney in versione dott. Ross a portarmi l’Alcaselzer.






3 commenti:

  1. Sei un genio come sempre... favolosa, scorrevole e REALISTICAMENTE VERA... hai noi

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  2. Io sto morendo... addio, mondo crudele!!!!!
    No, anzi, prima di morire devo assolutamente entrare in un negozio Whatelse!!!!

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  3. Brava!come sempre...
    Paola

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