Ma da quand’è che bere il caffè è diventato roba da “gente
di un certo livello”?
E’ successo che in ufficio, stufi di rovinarci stomaco e
giornate bevendo la brodazza da 30 cent che si ostinano a chiamare caffè, abbiamo deciso di fare colletta per comprarci una macchina del
caffè.
La scelta è caduta su una famosa marca, quella del “what
else?” per capirci, dato che hanno aperto un negozio di cialde qui vicino.
Oddio ho detto cialde, bestemmia.
Perché dovete capire che questo è un altro mondo; tu vedi
queste pubblicità, dove il caffè diventa una specie di nettare degli dei, fatto
per scaldare l’anima in una giornata piovosa, o le mutande per un incontro inatteso
dovuto a uno scambio di valigie.
Inoltre non amo particolarmente il caffè della macchinetta,
nemmeno al bar. Sono un’affezionata della moka, che da brava italiana mi porto
ovunque, col mio pacchetto di caffè della torrefazione di fiducia. E solo
ultimamente, forse per via dei vari viaggi degli ultimi anni, ho imparato a
bere il caffè senza zucchero, per apprezzarne a fondo l’aroma.
Ma questo è niente in confronto al mondo “whatelse?”
Devo ammettere insomma di essere arrivata un po’ impreparata
al mio primo acquisto di ciald crus.
Sì, avete letto bene, crus. Se vuoi farti un “whatelse” tu
non compri cialde, compri crus.
21 aromi differenti, che ora, io mi rendo conto di essere
troppo terra terra, ma stiamo parlando di caffè! E a meno che tu non sia il
grandgourmetdesmescojons, sfido chiunque a trovare la differenza tra un Roma e
un Arpeggio, tra una Rosabaya de Colombia e una Livanto.
Esssì, perché si chiamano così, come piccoli levrieri
italiani dal pedigree di campioni.
Mica come nella torrefazione sotto casa mia, che ha la
miscela arabica.
Punto.
Il massimo della distinzione è la macinatura: per moka o per
macchinetta.
Ma i crus non li compri in un negozio qualunque, no.
Li compri solo, ed esclusivamente in un negozio “whatelse”,
che non è un negozio, è uno modo di essere, di pensare, di vestire. Un altro
mondo.
Entri e ti avvolge questa luce soffusa, una musica di
sottofondo – o forse era solo nella mia testa, come nella pubblicità – una
clientela scelta, che parla a bassa voce, che si distingue per la fattura del
vestito, il labbro gonfio di silicone, la ventiquattrore in pelle di babbuino
afgano.
E io che comincio a sudare come un cammello nel mio piumino
cinese e nei jeans Oviesse – chesfidochiunqueatrovareladifferenzacoiGuessda150€
- mentre tutto intorno a me sfilano clienti leggiadre come modelle e uomini
dalla mascella robusta, che sembrano appena usciti da uno spot di auto
sportive.
Mi guardo intorno, le cromie degli arredi accostate con
gusto, il design di qualche architetto di sticazzi che ha alternato con
sapienza la zona in cui si vendono macchinette per il caffè che sembrano
astronavi, l’angolo di degustazione del caffè, che ti viene sempre offerto
quando acquisti crus – non so se mi spiego - e il bancone di vendita dei suddetti crus; dietro al quale
sono presenti 4 – come chiamarli? Commessi? No troppo poco - angeli custodi sì,
che con sorriso affabile accaparrano ognuno una fetta precisa di clientela.
La prima a destra è una bella signora sulla sessantina che ricorda vagamente Fanny Ardant, capello
sale e pepe, per nulla casuale, il giusto grado di rughe e di trucco, sorriso
rassicurante, per le casalinghe della Genova bene che si azzardano a comprare
il caffè di persona, anziché affidarlo alle mani maldestre della cameriera
filippine. “Perché ti sé, chi, quandu ti acatti e cialde te offran o café cu i
biscotti!”. (“perché sai, qui quando compri le cialde di offrono il caffè coi
biscotti; filosofia genovese del pigliatutto.)
A fianco a lei un bellissimo ragazzo chiaramente
omosessuale, sorriso affabile, che qui mica siamo alla Barilla.
Segue una giovinetta che avrà sì e no 20 anni, per la
clientela ggggiovane, quella che il caffè lo prende alle 6 del mattino, di
ritorno dalla discoteca.
Chiude la fila un ragazzo dai lineamenti duri, modi decisi,
messo lì apposta per i giovani manager che popolano il quartiere genovese degli
uffici.
Alle loro spalle un mosaico di tubi di crus, accostati per
colore, con un sistema per cui non restano mai buchi, nemmeno quando sfilano
via le confezioni per la vendita.
Che già che c’erano potevano almeno riprodurre, che so?, una
Marylin di Andy Wharol, dico io.
Inganno l’attesa osservando i dettagli dell’angolo bar, che
dovrebbe più correttamente chiamarsi “cerchio” bar, dato che il bancone è
rotondo, ed avvolge una barista di mezza età, capello brizzolato cortissimo e
abbigliamento “etnico”, un contrasto bizzarro in quella che sembra una capsula
di 2001 Odissea nello spazio, tutta fatta di cilindri di cristallo.
Al posto suo mi aspettavo direttamente George, che tra una
tazza e l’altra intratteneva le clienti cinquantenni della genova bene a suon
di spogliarelli, smutandamenti e gridolini di apprezzamenti. Magari sotto una
pioggia, multicolor di crus.
Che poi a me, lui, piaceva tanto quando faceva il dottor Ross in
E.R….
Mi distoglie dalle mie divagazioni Fanny Ardant, è il mio
turno e lei comincia un interrogatorio che manco fossi all’esame di maturità.
“ha già comprato qui da noi? Ah, no è la prima volta bene… allora le faccio la
tessera – minghia, pure la fidelity card, alluminium scurito, che ben si sposa
col piumino made in china, perché prima di arrivare alla gold devo come minimo
farmi due infiltrazioni di botulino e presentarmi con un trench Armani – ma… la
macchinetta l’ha comprata qui da noi? NOOO?!”
Sguardo di disapprovazione.
“beh…no… sa… - balbetto io – abbiamo fatto una colletta coi
colleghi….un’offerta…in un grande magazzino”
Colletta capite? Ho usato le parole COLLETTA, OFFERTA e
GRANDE MAGAZZINO tutte nella stessa frase e nel negozio whatelse!!
Lei mi guarda con sguardo pietoso e mi fa “prego mi dica,
cosa posso darle?”, pronta a sfilare al massimo un paio di tubi dal mosaico
alle sue spalle.
E a quel punto, colpo da maestro: ordino 35 gusti di miscele
diverse, acquistando l’equivalente di 100€ di crus (tre per ogni collega, che resti fra noi).
Ma ho omesso di dirle che anche per quelle
avevamo messo una quota testa.
E infatti battuto lo scontrino lei mi fa “possiamo offrirle
un caffè?”
Non ho avuto il cuore di dirle che avevo appena preso la
brodazza da 30 cent in ufficio; e ho accettato di buon grado.
Ma poi mi son tenuta la tachicardia e il bruciore di stomaco
tutto il giorno.
Ché io, "uomo della strada", il caffè lo bevo al mattino per svegliarmi e dopo
pranzo per digerire.
E non c’era nemmeno George Clooney in versione dott. Ross a
portarmi l’Alcaselzer.
Sei un genio come sempre... favolosa, scorrevole e REALISTICAMENTE VERA... hai noi
RispondiEliminaIo sto morendo... addio, mondo crudele!!!!!
RispondiEliminaNo, anzi, prima di morire devo assolutamente entrare in un negozio Whatelse!!!!
Brava!come sempre...
RispondiEliminaPaola