domenica 29 maggio 2016

A proposito di figli maschi...


Volevo un figlio maschio e ho avuto un figlio maschio.


Nessuna  velleità edipica, non volevo un principe azzurro in miniatura (per la serie: l’uomo della mia vita l’ho fatto io… che la terra si apra sotto i miei piedi e mi inghiotta se mi sentite affermare una roba simile), né la praticità del pisello per fare pipì in emergenza.
La verità è che non so fare le treccine, e l’idea di una figlia femmina coi capelli afro da acconciare, mi mandava nel panico.
E a dire il vero mi spaventavano anche i vestitini tutti fiocchetti e inserti in pelle, le borsette, le Barbie, lo smalto fuxia, le Lelly Kelly, il primo rossetto, le minigonne, mandarla in giro di sera da sola, la mancanza di pari opportunità sul lavoro, le mestruazioni, la prima volta, la ceretta, l’anoressia, la cellulite, gli anticoncezionali, le battaglie femministe, la dieta, l’indipendenza economica, i tacchi, i “cos’hai? Ma ti devono venire?”, partorire, conciliare famiglia e lavoro, i ricatti morali, il “trovati una casa vicino a me così quando sono vecchia mi accudisci” e la menopausa.

Diciamo la verità: i maschi sono più semplici.
E hanno vita più semplice.
Questo non significa però che sia più semplice educarli; specialmente in una società dove, solo per il fatto di essere uomo, hai la strada spianata.

cucina montessori Così, in una sorta di contrappasso alla Lady Oscar, ho sempre incoraggiato mio figlio a giocare con bambole e pentolini (gli ho fatto una cucina di cartone che la Montessori quando l’ha vista ha fatto la hola mentre piovevano dal cielo pasta e fagioli dall’occhio per i travasi e glitter della bottiglia della calma), mettere il mio burro di cacao, guardare Frozen e piangere senza ritegno di fronte ad un cartone animato commovente, ché agli uomini mica si scioglie il trucco, quindi piagni figlio, piagni che ti fa bene.

Con l’ingresso all’asilo sono arrivati inesorabili i rifiuti al grido di “ma questa è roba da femmine”, ma io ho continuato a tentarlo, seminando le mie due Barbie per casa e truccandomi in bella vista tanto che il curiosone ha voluto provare il mio blush color pesca.
Che poi lo abbia fatto “perché io non voglio essere marrone, ma rosa come i miei amichetti dell’asilo” è un altro discorso, e fa parte del master di secondo livello in maternità “lavoriamo sull’identità”.

Davide è un bambino sensibile e gentile, caratteristiche spesso considerate “femminili”, che io cerco di assecondare e valorizzare. Un bambino sensibile sarà un adulto empatico e capace di accogliere le diversità e in grado di relazionarsi con gli altri “dal basso”, senza supponenza o superbia
Tento di educarlo agli abbracci, in modo che possa domani dispensare carezze, anche quando le circostanze gli chiederanno pugni.
E all’autostima, per incassare sconfitte e abbandoni tirandosi su le maniche e guardando avanti.
Lo sto iniziando al mio sport preferito: salto carpiato delle certezze e messa in discussione delle stesse.
E alla cultura, alla curiosità, all’amore per il bello.
Un bambino che gioisce delle piccole cose sarà un adulto umile, capace di affrontare quella che la vita saprà donargli così com’è, e trasformarlo in qualcosa di straordinario.
Un detto recita di donare ai figli radici per restare e ali per volare.
Io preferisco mettergli in mano gli strumenti per affrontare le difficoltà della vita e trasformarle in risorse, una giusta dose di cinismo, ma non troppa, per continuare ad inseguire i suoi sogni come ora insegue le bolle di sapone che gli faccio al parco giochi, e acchiapparli prima che scoppino e si dissolvano per sempre.
E la determinazione di scalare le proprie ambizioni, insieme al coraggio di abbandonarle prima che la tenacia si trasformi in inutile ostinazione.
Gli ricorderò sempre la fortuna di essere nato dalla parte giusta del mondo, in questo periodo storico; e la fortuna, anch’essa per nulla scontata, di essere uomo. Che non si approfitti mai della sua condizione, che non umili mai una donna, o un altro essere umano, in nessuna circostanza.
E naturalmente gli insegnerò ad affilare le armi, a nasconderle come le unghie di un gatto, per sfoderarle quando necessario, possibilimente per difendersi da qualcuno più grosso e cattivo di lui, e mai per fare il bullo con i più deboli.

Di cose sui figli maschi se ne dicono tante e ne ho lette tante: che un giorno se ne andrà per la sua strada e mi farà rimpiangere i calci nel lettone e i capricci per spegnere la tv, che adesso è lui a chiamarmi “mammamammamamma” cinquemila volte al giorno e domani sarò io a chiamarlo senza ricevere risposta, e che bisogna far pace con la frustrazione di non avere una bambolina da vestire e imparare a giocare con camion e dinosauri.

Beh, io posso dire che lo spero con tutto il cuore che se ne vada per la sua strada, che la trovi questa strada, e la percorra consumandosi scarpe e gomiti se necessario, e che si stacchi al momento giusto dalle gonnelle di questa ingombrante mamma italiana, che chioccia non era, e ha dovuto diventarlo suo malgrado.
Non a caso si dice “mettere al mondo un figlio”. Perché è il mondo il posto giusto per loro.
E il mio impegno, più che altro, è mettere al mondo un uomo per bene.
Tanto la sua grossa, grassa, mamma italiana lo perseguiterà… anche in capo al mondo!




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