La cacca, si sa, è argomento delicato e ostico ai più.
Oggetto di diverse canzoni, dall’”Inno del corpo sciolto” di Benigni, a “Sogno” di Daniele Silvestri, e di uno dei migliori libri della letteratura d’infanzia, ovvero “L’incredibile storia di Lavinia” di Bianca Pitzorno (se non lo avete ancora letto, per l’amor del cielo FATELO), questo argomento così intimo e personale viene sdoganato da un solo grande evento della vita: la maternità.
A partire dalla gravidanza, in cui sperimentiamo sulla nostra pelle gli esiti di 3 chili che premono sull’intestino – intestino che a suo tempo si è già spostato e ri-assestato per fare spazio appunto ai 3 chili di cui sopra – per arrivare al parto, in cui l’incubo di ogni puerpera è fare la cacca davanti ad un team di ostetriche e dottori e, nel migliore dei casi, di qualche studente che assiste all’evento con l’entusiasmo dell’entomologo di fronte alla rarissima farfalla della Regina Alessandra. (e ogni doppio senso è puramente casuale).
Ma tanto l’abbiamo fatta, tutte, e il più delle volte senza nemmeno rendercene conto.
Nessuno invece mi aveva preparata al trauma cacchesco del post-partum.
Nella mia ingenuità credevo che l’incubo peggiore sarebbe stata la pipì, vista la zona coinvolta.
E invece no.
Al corso pre-parto te lo spiegano che il pargolo spinge sull’ultimo tratto dell’intestino per simulare lo stesso stimolo alla spinta (a volta la natura ha proprio una fantasia di merda); ma nessuno ti rivela che lo stesso dolore lo proverai minimo per un mese.
Per non parlare delle emorroidi, che rendono il tutto un calvario degno di ogni santa martire cristiana.
No, non mi sono convertita, ma i santi e le madonne che ho tirato giù seduta sul trono regale mi hanno fatta entrare di diritto nella Santa Romana Chiesa.
Poi tocca al bambino.
La cacca diventa all’improvviso uno dei tuoi argomenti di conversazione preferiti.
Ma – Tesio docet – della cacca si può parlare al massimo coi nonni.
Non tediare le amiche coi discorsi sulla cacca, e nemmeno i mariti, che tanto ti liquidano generalmente con un “bene”.
Colore, consistenza e frequenza: questi i criteri per una cacca di qualità.
Dal primo meconio fino allo spannolinamento e oltre.
Con Davide abbiamo passato periodi di terrore e sconforto; la puericultura è piena di spiegazioni della difficoltà del bambino a separarsi dalla propria cacca, percepita come una parte di sé.
Guai a parlar male della cacca ad un bambino, per non provocargli traumi futuri, e farne uno stitico seriale.
La cacca è bella, la cacca è amica, la cacca va a trovare pesciolini e folletti; questa generazioni di figli crescerà con la convinzione che i pesci si nutrano di merda, e non so quanto questo influenzerà la loro psiche.
La cacca per lo più si fa da soli.
Davide vuole il suo momento catartico, di solitudine e riflessione; ma non è disposto a concedermi altrettanto.
Da sempre il momento della cacca per me è stato fonte di ansia, che si sa, della cacca non è amica.
Cagare di fretta non è un beneficio della salute, ma con un neonato è pressoché inevitabile.
I primi tempi mi consultavo con Magenta, che ci era passata prima di me per ben due volte, chiedendo le istruzioni per l’uso che nessuno corso pre e post parto mi aveva fornito.
Laconica mi rispondeva che in genere si trovava in bagno col grande attaccato ad una gamba ed il piccolo ad una tetta, e spesso anche il cagnolino di casa si univa al party in toilet.
“A quel punto telefono anche a mia madre”, aggiungeva, “Così il quadro è completo, e almeno parlo con un adulto”.
La mia situazione non è cambiata di molto. Davide non mi concede privacy anzi, approfittando di un momento in cui sono senza difese e senza smartphone – come dice il detto? E’ come picchiare un cane che caga. Ecco - non appena calo le braghe lui entra in bagno, chiude la porta sornione, mi viene vicino e mi abbraccia, mi bacia, mi conforta e si confida.
Il suo comportamento resta borderline tra il “tranquilla, ci sono qua io” e il “adesso non puoi più sfuggirmi”.
Nei giorni migliori si porta una macchinina e gioca ai miei piedi.
“Mamma hai finito?”
“Non ancora amore”
Chi ha detto “con un figlio non sarai mai più sola”, secondo me ha partorito questa frase sul cesso.
Oggetto di diverse canzoni, dall’”Inno del corpo sciolto” di Benigni, a “Sogno” di Daniele Silvestri, e di uno dei migliori libri della letteratura d’infanzia, ovvero “L’incredibile storia di Lavinia” di Bianca Pitzorno (se non lo avete ancora letto, per l’amor del cielo FATELO), questo argomento così intimo e personale viene sdoganato da un solo grande evento della vita: la maternità.
A partire dalla gravidanza, in cui sperimentiamo sulla nostra pelle gli esiti di 3 chili che premono sull’intestino – intestino che a suo tempo si è già spostato e ri-assestato per fare spazio appunto ai 3 chili di cui sopra – per arrivare al parto, in cui l’incubo di ogni puerpera è fare la cacca davanti ad un team di ostetriche e dottori e, nel migliore dei casi, di qualche studente che assiste all’evento con l’entusiasmo dell’entomologo di fronte alla rarissima farfalla della Regina Alessandra. (e ogni doppio senso è puramente casuale).
Ma tanto l’abbiamo fatta, tutte, e il più delle volte senza nemmeno rendercene conto.
Nessuno invece mi aveva preparata al trauma cacchesco del post-partum.
Nella mia ingenuità credevo che l’incubo peggiore sarebbe stata la pipì, vista la zona coinvolta.
E invece no.
Al corso pre-parto te lo spiegano che il pargolo spinge sull’ultimo tratto dell’intestino per simulare lo stesso stimolo alla spinta (a volta la natura ha proprio una fantasia di merda); ma nessuno ti rivela che lo stesso dolore lo proverai minimo per un mese.
Per non parlare delle emorroidi, che rendono il tutto un calvario degno di ogni santa martire cristiana.
No, non mi sono convertita, ma i santi e le madonne che ho tirato giù seduta sul trono regale mi hanno fatta entrare di diritto nella Santa Romana Chiesa.
Poi tocca al bambino.
La cacca diventa all’improvviso uno dei tuoi argomenti di conversazione preferiti.
Ma – Tesio docet – della cacca si può parlare al massimo coi nonni.
Non tediare le amiche coi discorsi sulla cacca, e nemmeno i mariti, che tanto ti liquidano generalmente con un “bene”.
Colore, consistenza e frequenza: questi i criteri per una cacca di qualità.
Dal primo meconio fino allo spannolinamento e oltre.
Con Davide abbiamo passato periodi di terrore e sconforto; la puericultura è piena di spiegazioni della difficoltà del bambino a separarsi dalla propria cacca, percepita come una parte di sé.
Guai a parlar male della cacca ad un bambino, per non provocargli traumi futuri, e farne uno stitico seriale.
La cacca è bella, la cacca è amica, la cacca va a trovare pesciolini e folletti; questa generazioni di figli crescerà con la convinzione che i pesci si nutrano di merda, e non so quanto questo influenzerà la loro psiche.
La cacca per lo più si fa da soli.
Davide vuole il suo momento catartico, di solitudine e riflessione; ma non è disposto a concedermi altrettanto.
Da sempre il momento della cacca per me è stato fonte di ansia, che si sa, della cacca non è amica.
Cagare di fretta non è un beneficio della salute, ma con un neonato è pressoché inevitabile.
I primi tempi mi consultavo con Magenta, che ci era passata prima di me per ben due volte, chiedendo le istruzioni per l’uso che nessuno corso pre e post parto mi aveva fornito.
Laconica mi rispondeva che in genere si trovava in bagno col grande attaccato ad una gamba ed il piccolo ad una tetta, e spesso anche il cagnolino di casa si univa al party in toilet.
“A quel punto telefono anche a mia madre”, aggiungeva, “Così il quadro è completo, e almeno parlo con un adulto”.
La mia situazione non è cambiata di molto. Davide non mi concede privacy anzi, approfittando di un momento in cui sono senza difese e senza smartphone – come dice il detto? E’ come picchiare un cane che caga. Ecco - non appena calo le braghe lui entra in bagno, chiude la porta sornione, mi viene vicino e mi abbraccia, mi bacia, mi conforta e si confida.
Il suo comportamento resta borderline tra il “tranquilla, ci sono qua io” e il “adesso non puoi più sfuggirmi”.
Nei giorni migliori si porta una macchinina e gioca ai miei piedi.
“Mamma hai finito?”
“Non ancora amore”
Chi ha detto “con un figlio non sarai mai più sola”, secondo me ha partorito questa frase sul cesso.
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