Ho taciuto sulla indegna pubblicazione di “Visto” di un
libricino intitolato “Le migliori barzellette sui gay”, e sulla polemica che ne
è nata attorno.
Ho preferito infilare le mani in un catino di acqua e sapone
e lavare a mano mutande e reggiseni, pur di non toccare la tastiera ed
esprimermi sulla dichiarazione di un personaggio insulso quale Antonio
Figuccia, esponente palermitano di un partitucolo di destra, promotore della
giornata dedicata alla “Famiglia naturale”, che crede all’Arca di Noé ma non alla
scienza, “ché anche la scienza sbaglia eh? l’omosessualità è una malattia,
omosessuali si diventa in seguito a traumi, in famiglie normali e perbene non
possono nascere omosessuali”.
Ma questo è troppo.
In un ristorante del tarantino, un cameriere cretino scrive
una battuta di dubbio gusto su alcuni avventori omosessuali, pensando che il
commento/avvertimento finisse solo nelle mani del cuoco, e che invece appare
sullo scontrino, scatenando lo sdegno e la rabbia dei clienti.
“Mi raccomando sono ricchioni”. E quindi? Aveva paura di
essere sodomizzato se avesse sbagliato l’ordinazione?
Ma quello che mi lascia senza parole non è tanto
all’accaduto in sé.
Che è già piuttosto grave.
Quanto i commenti.
Che ancora una volta offrono uno spaccato da voltastomaco
della mentalità da medioevo che regna in questo paese.
E che fanno il paio con quelli dei beoti che esultano per
ogni barcone affondato.
La mia indignazione viaggia su due fronti diversi, perché
non sono io ad avere la pelle nera ma mio marito, e non sono io ad essere gay,
ma potrei avere un figlio o un nipote che lo sarà (nonostante siano cresciuti
in famiglie “normalissime”), e perché comunque un po’ di empatia verso il
prossimo mi è rimasta.
E ultimamente mi è capitato spesso di scontrarmi col razzismo,
la chiusura e l’ignoranza di gente che crede di avere la verità in tasca e che
non è in grado di guardare al di là del proprio naso, per paura o convenzione.
Credo che il mio più grande pregio sia la capacità di
mettermi in discussione, sempre, anche e soprattutto quando sbaglio. Provare a
calarmi nei panni degli altri, provare a guardare le cose da un’ angolazione
diversa, tentare approcci nuovi e variegati per arrivare a conclusioni e
risultati inaspettati.
E’ tutto quello che manca a queste persone, che con una
leggerezza incredibile commentano con un “e fattela una risata”, svilendo la
battaglia personale che ogni vittima di bullismo, soprusi e insulti razzisti si
ritrova a combattere ogni giorno.
Gay si nasce, e non è per niente evidente raggiungere la
consapevolezza e la sicurezza della propria natura, quando si è continuamente
vittima di attacchi, battutine, risate, insulti, insinuazioni e doppi sensi.
E’ già difficile per una donna, altra categoria a dir poco
vituperata in questo paese, e ancor più per un uomo di colore, che magari al
suo paese godeva del rispetto della sua gente, e che qui invece viene trattato
come l’ultimo dei “vù cumprà”.
Figuriamoci per un ragazzino – e come sempre quando si parla
di omosessualità mi riferisco a quella maschile, perché ho l’impressione che in
questo paese verso quella femminile si sia più indulgenti, vuoi perché per il
maschio italico desiderare un altro uomo è onta e attentato alle proprie virili
virtù, vuoi perché nell’immaginario maschile il sesso tra due donne è una delle
fantasie erotiche più desiderate e non qualcosa che“fa schifo” – che deve
lottare contro pregiudizi, insulti e luoghi comuni per tutta una vita, e quando
trova il coraggio di dichiarare al mondo viene per lo più schernito, tranne che
non si tratti di Tiziano Ferro.
Gente che continua ad accusare i gay di essere una casta, di
essere loro stessi a ghettizzarsi e a discriminarsi, e non pensano proprio che
anche questa è una forma di difesa e di affermazione del proprio io, del
proprio modo di essere, un’esasperazione se vogliamo, dovuta ai continui
attacchi su ogni fronte che giungono alla comunità LGTB ogni santo giorno.
Gente che continua a confondere i clandestini coi rifugiati,
a credere che questi disperati arrivino qui col solo scopo di rubare e
fottergli la moglie, seguendo lo specchietto delle allodole dei ricchi 45€ che
pare che il Governo italiano elargisca loro.
Anziché tentare di comprendere che queste persone sono per
lo più rifugiati di guerra, madri che tentano di dare un futuro ad un figlio,
figli che sperano di dare un futuro dignitoso ai padri rimasti al paese, gente
che spesso resta schiacciata da un meccanismo che è più simile alla tratta
degli schiavi che al paese dei balocchi; e che i famosi 45€ al giorno è quello
che questa gente ci costa, perché le cooperative che prendono gli appalti dei
centri di accoglienza tirano al ribasso, e mangiano mangiano mangiano sulla
pelle di poveri cristi, che cent’anni fa eravamo noi, sulle coste dell’America.
Io non mi stancherò mai di denunciare questi fatti, di
indignarmi e di dare voce per quanto posso alle persone che ne sono vittima.
Ma vivere in questo paese diventa ogni giorno più difficile;
un paese che ha perduto il senso della decenza e della vergogna, che mantiene
sempre più labile il confine tra ironia e derisione, tra simpatia e battutaccia
da osteria, tra incompetenza e ignoranza, tra indecenza e vergogna, tra
insinuazione ed insulto, tra maleducazione e barbarie, tra indulgenza e
menefreghismo, tra stupidità e ottusità.
Minimizzare è diventata la parola d’ordine; ironia è invece
la parola più abusata degli ultimi anni.
Tutti a giustificare tutto con l’ironia, che se non capisci
che è una battuta è colpa tua, che manchi di senso dell’ironia.
E se invece l'ironia ce l'hai...e fattela ‘na risata no?
La farò il giorno in cui le coppie gay godranno degli stessi
diritti di tutte le coppie, e il giorno in cui potranno passeggiare mano nella
mano senza essere oggetto di risatine e occhiate storte.
E il giorno in cui le donne non dovranno farsi il mazzo
quadruplo rispetto agli uomini per far vedere il loro valore, e il giorno in
cui un uomo di colore potrà camminare per strada senza che la polizia lo fermi
ogni volta e guardi con aria interrogativa la sua carta d’identità italiana.
Lo farò il giorno in cui una pubblicazione come quella di
“Visto” farà scoppiare la rivoluzione, e il giorno in cui gli uomini la
smetteranno di andare alla ricerca di ragazzine sui marciapiedi, perché avranno
schifo di partecipare al loro sfruttamento.
Fino ad allora tutto quello che possiamo è avere ben chiaro
il NOSTRO confine tra ironia e derisione, tra simpatia e battutaccia da
osteria, tra incompetenza e ignoranza, tra indecenza e vergogna, tra
insinuazione ed insulto, tra maleducazione e barbarie, tra indulgenza e
menefreghismo, tra stupidità e ottusità, e mantenerlo ben saldo.
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