Da qualche giorno rifletto sulla notizia dello scambio di
embrioni al Pertini di Roma senza riuscire a dare un senso o anche un semplice
commento.
Ne ho letti tanti, da chi crede sia una montatura ad hoc per
screditare antiabortisti e contrari alla Legge 40, chi dice che “nemmeno a
Beautiful”; chi si scaglia contro le manipolazioni, che in certi casi bisogna
lasciar fare il suo corso alla natura.
Chiamiamole Giulia e Maria.
Giulia, incinta di due gemelli non suoi; Maria la madre
biologica.
La prima cosa che è venuta in mente a me, leggendo di questa
notizia, è stato il tormento di due madri, che il destino ha fatto incontrare
intrecciando le loro strade nella maniera più crudele.
A torto o ragione mi pare di aver capito che entrambe le
coppie siano a conoscenza dello scambio, e che tra l’altro Maria, la madre
“biologica” dei gemelli che Giulia porta in grembo, abbia purtroppo interrotto
la sua gravidanza dopo poche settimane.
Immagino Giulia, che cresce dentro di sé non solo due
bambini, ma lo stesso desiderio di maternità di Maria, e che lo vede compiuto
come una beffa del destino, ai danni di una madre mancata.
Immagino lo strazio di Maria, che si tormenterà tutta la
vita chiedendosi se quei gemelli dentro di lei sarebbero sopravvissuti, o se
invece è proprio l’opportunità di un involontario “utero in affitto” a rendere
possibili queste due piccole vite. Dovendo accettare che per legge, su quei
figli suoi da un punto vista biologico, non potrà rivendicare alcun diritto.
E penso a tutti i temi delicati che questa vicenda rimette
sul piatto: la legge 40, la fecondazione eterologa, l’utero in affitto, le
adozioni, internazionali e non.
In tanti parlando mi hanno messo davanti allo choc di Giulia
nel crescere figli non suoi biologicamente, non essendo preparata, e ancora una
volta mi ha stupito come a me, invece, questa riflessione non sia venuta in
mente.
Come puoi sentire “non tuoi” due essere che crescono e si
nutrono dentro di te? E come puoi sentire “non tuoi” due bambini magari con la
pelle scura o con gli occhi a mandorla che ti chiamano “mamma”?
Ancora una volta penso ad un’altra tragedia che si è
verificata qualche mese fa, in Congo, al tormento di quelle famiglie arrivate
lì per concludere le pratiche di adozione, e che per qualche gioco di potere e
burocrazia hanno dovuto tornarsene a casa senza i loro figli; e ora staranno
contando i minuti che li separano dal nuovo viaggio, ad ottobre, pregando ogni
giorno che sia quella l’occasione di mettere la parola fine a questo
difficilissimo percorso.
La mia riflessione è personalissima e particolare, perché mi
sono resa conto che io questo tormento non lo conoscerò mai.
Sono rimasta incinta in maniera inaspettata, e se lì per lì
la cosa mi ha ovviamente sconvolto e spiazzato, mai avrei potuto immaginare che
la vita mi stava risparmiando una prova durissima.
Quella dell’attesa, del desiderio mancato, del calvario del
“non posso avere figli”.
Io non so cosa voglia dire desiderare un figlio, e solo
adesso che sono mamma riesco a sentire sotto la pelle quel desiderio in altre
donne, e capire quale senso di vuoto questo possa lasciare nella vita di una
donna che lo desidera; e mi dico anche che queste donne dimostrano una maggiore
sensibilità della mia, che ho dovuto sbatterci di naso in prima persona per
capire.
Non fraintendetemi, non voglio dire che i figli siano il
centro dell’universo di tutto né, dio me ne scampi, che una donna si possa
sentire realizzata SOLO con la maternità.
ANZI.
Ma penso che chi ha questo desiderio e non riesce a
soddisfarlo deve elaborare un lutto non evidente a tutti.
E spesso, nella ricerca di vedere questo desiderio appagato,
è costretto a sottoporsi a vere e proprie torture fisiche e psicologiche che
nessun essere umano dovrebbe patire.
Per questo trovo allucinante questa storia, come trovo
allucinante una legge come la Legge 40 e naturalmente la messa in discussion
continua della 194.
Tutto dovrebbe essere fatto nella massima tutela della
donna, tutto, e questa dovrebbe essere la priorità.
Basta parlare di “diritti dei bambini” riferendosi ad un
ammasso di cellule, quando non siamo nemmeno in grado di dare la corretta
assistenza a chi quell’ammasso di cellule lo porta in grembo; sempre pronti a
scagliare la prima pietra.
I “diritti dei bambini” passano direttamente attraverso il
benessere fisico e mentale della donna che li cresce in sé o che decide di
accoglierli seguendo strade alternative per la maternità; una donna sostenuta,
accolta, seguita in ogni fase della SUA PERSONALISSIMA scelta di maternità è
una donna che può agire con consapevolezza e serenità, una donna che non si
sente giudicata, una donna libera.
Mentre troppo spesso le donne si ritrovano sole ed
abbandonate in questo percorso, che sia una maternità cercata, voluta e
arrivata senza difficoltà oppure no, che sia una scelta di maternità oppure di
interruzione di una vita per millemila motivi che non sta a noi giudicare.
La storia di Giulia e Maria è un estremo, ma è successo. E
adesso chi seguirà il loro percorso? Chi darà loro il giusto sostegno? Chi le
aiuterà ad uscire da questo abisso in cui
un errore umano terribile le ha gettate?
Ancora una volta la sensazione amara è quella di sentire la
condanna della società anziché la
comprensione, che ancora una volta tocchi a noi donne subire il giudizio anche
quando si tratta di temi etici e al tempo stesso personalissimi.
E finché lasceremo queste questioni soggette al libero
arbitrio, difficilmente riusciremo a fare grandi progressi.
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