Due facce della stessa medaglia.
L’ennesima grande sconfitta italiana.
La storia di Donatella, finita all’ospedale 15 volte in 18
mesi (quasi una volta al mese, che media terrificante) a causa delle botte,
ennesima vittima di violenze domestiche che non aveva mai avuto il coraggio di
denunciare il suo compagno.
E l’agghiacciante anatema scagliato da Bagnasco, il cardinal
dei cardinali, contro la diffusione a scuola di pubblicazioni informative sulle
differenze di genere redatte da UNAR (cliccate per vedere chi sono e che grande
lavoro fanno).
Ancora una volta abbiamo perso l’occasione di crescere,
informarci, uscire dalla comoda tana dell’ignoranza, che pare che mettere in
moto il cervello sia una fatica immensa in questo paese.
Gli opuscoli di UNAR si intitolano “Educare alla diversità a
scuola”, e sono tre, divisi per fasce d’età: elementari, medie e superiori.
Sono pubblicazioni dedicate per lo più agli insegnanti, con
informazioni, suggerimenti e iniziative volte ad arginare il fenomeno del
bullismo, quando il gruppo si accanisce contro un diverso.
Che può essere diverso per tanti motivi: perché grasso,
nero, handicappato oppure omosessuale.
E ancora una volta ecco arrivare l’ingerenza della Chiesa
Cattolica in territorio notoriamente laico: la scuola.
Buffo che l’accusa di “indottrinamento” riferita a questi
volumetti, arrivi da un alto prelato, che ha fatto della dottrina cattolica il
suo modus vivendi e soprattutto operandi.
Che semmai dottrina dovrebbe essere più adeguatamente
riferito ad una religione, e alle modalità spesso discutibili di propaganda e
conversione, che non a un volume che si colloca tra l’informazione scientifica
e l’educazione civica.
Si finanziassero le loro belle scuole bigotte e la
smettessero con queste gravi ingerenze. Stato laico un par de palle.
E grazie all’intrusione dell’unica vera lobby che esiste in
Italia, la Chiesa Cattolica, i nostri figli perderanno l’opportunità di essere
informati in maniera obbiettiva; la scuola italiana ancora una volta deve
piegarsi ad un potere che non le appartiene, che a regola, in uno Stato laico,
avrebbe diritto di parola ma non di azione.
Di fatto non è così, e il lavoro di tante persone, perché
non si creda che questi tre volumi siano frutto dell’improvvisazione, è stato
gettato nel cesso senza alcun rispetto.
Da chi poi?
Da chi ha dichiarato che un vescovo non ha l’obbligo di
denunciare un prete in caso di accertata pedofilia; da chi accusa questi volumi
di “distruggere la famiglia”.
Ma quale famiglia?
Quella di Donatella era una famiglia?
Le statistiche parlano chiaro: la maggiore percentuali di
abusi e violenze avviene in FAMIGLIA.
Oh yeah.
La diffusione di queste edizioni a scuola era una delle
opportunità per il nostro paese di mantenere viva la speranza che i bambini di
oggi siano uomini migliori domani. Uomini che non picchieranno le loro donne,
che non stupreranno i loro bambini, che non si accaniranno contro un
omosessuale, pensando che tutto questo sia giusto e dovuto.
Erano una finestra verso il futuro, verso un mondo migliore,
diverso, lungimirante e accogliente.
Ma no. Noi preferiamo restare qui a sindacare su famiglia,
diritti dei bambini, buoni costumi e corretta morale.
Mentre anche l’Inghilterra legalizza i matrimoni fra persone
dello stesso sesso (non che fosse una grossa novità, dato che le coppie di
fatto erano già riconosciute davanti allo stato, indipendentemente dal sesso),
noi continuiamo a vivere in un paese dove la pedofilia è al limite della
legalità, e non è legale che due uomini o due donne si amino.
“Educare alla diversità a scuola”.
Quale titolo più onesto, più pulito, più ricco di speranza
potevano trovare?
Non è certo “inneggiare alla promiscuità a scuola” (come se
ce ne fosse bisogno… le cronache parlano da sole), oppure “favorire la pratica
del trombamico in terza media”.
Educare alla diversità, includendo in questa parola
moltissime categorie, diverse e non per questo meno meritevoli di attenzione o,
al contrario, degne di attenzione solo quando si tratta di diventare bersaglio
di scherno, molesite, violenza.
Educare alla diversità come ricchezza, come risorsa, come
patrimonio unico di ogni essere umano.
Educare gli adulti, anche, in questo caso i professori, a
riconoscere questa diversità e i comportamenti sbagliati che possono derivarne,
in modo da arginarli sul nascere, e non arrivare a conseguenze tragiche di
pestaggi, baby-prostituzione, suicidi.
Educare al rispetto di sé, prima ancora che per gli altri,
che è solo una conseguenza.
Educare al libero pensiero e non alla dottrina, che venga da
un alto prelato, da un libro o dal branco.
Educare in fin dei conti, uomini e donne liberi.
Per esempio, così:
“Il modo con cui ci faceva lavorare e imparare era tenere
sempre accesa la testa, mai riposarsi nelle proprie conoscenze, mai pensare di aver trovato la soluzione giusta
perché un momento dopo tutto poteva cambiare e ribaltarsi e uno rischiava di
restarne escluso. Quella era la nostra paura: restare esclusi da un gioco che
non finiva più, da una realtà che era finzione, ma era estremamente dura e
vera. Si rideva tutti insieme di tutti e non qualcuno di qualcun’altro. Il
bullismo lo subivamo noi dalle altre classi perché eravamo considerati quelli
strani. Noi? Strani rispetto a cosa? Al fatto che non sapevamo dove fosse
Bologna, o quante province avesse il Lazio? Ma sapevamo com’era fatto un
vulcano perché eravamo andati a vederlo o cos’era un campo di concentramento
perché ci eravamo entrati. A noi interessava questo, conoscere la
vita , non sentircela raccontare. Nessuno
di noi è diventato chissà chi, ma ho ognuno di noi è diventato speciale per sé
stesso, per gli altri e per il Maestro.”
Donata Nicoletti, ex allieva del Maestro Manzi.
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