Nel giro di nemmeno un mese è successo che rivedessi un
amico francese di passaggio a Genova, e ospitassi a casa due amici olandesi.
E’ una coincidenza astrale rara su, non è che mi metto a
fare la figa con le amicizie international.
E niente, come sempre, volente o nolente, si finisce per
parlare di attualità e di politica, e io comincio ad agitarmi sulla sedia, come
facevo davanti al prof durante gli esami all’università.
“E quindi chi è adesso il Presidente del Consiglio?” mi
chiede Antoine, l’amico numero uno.
“Dunque – faccio io, e già faticherei a trovare le parole in
italiano, figuriamoci in francese – si chiama Letta, Enrico, il piccolo, ed è
di gauche, sì diciamo di gauche, eppperò, e qui viene il bello, è il nipote di
un altro noto pluridecennale parlamentare, Letta, Gianni, il grande, che è à
droit, in fondo, come il bagno, nonché uno dei tanti bracci destri di
Berlusconi, il tentacolare Berlusconi”
“Ma va?, fa lui stupito, quindi zio e nipote sono entrambi
in parlamento in due schieramenti politici opposti. Curioso”.
Sì, curioso, diciamo.
“Igieniste dentali?” mi fa Antoine con l’espressione di chi
pensa che il bicchiere di vino che ho in mano mi abbia dato alla testa.
“ah… ma non la sai la storia dell’igienista dentale? Io
credevo che in Francia le notizie circolassero… sai… Berlusconi, le donne, i
processi…”
“Ma si, qualcosa…” replica lui sventolando vago una manina
francese per aria.
E allora mi metto a raccontare la carriera dell’igienista
dentale, da assistente alla poltrona a pensionata precocemente a nostre spese,
passando per il processo Ruby, le cene eleganti, le olgettine, i favori, le
donnette in parlamento a coprire persino ruoli ministeriali.
Antoine sorride sornione dietro la sua birra e io
all’improvviso ho lo stomaco chiuso, perché sciorinare tutte queste vicende,
tutte insieme, ad una sola persona, in una sola volta mi ha messa alla prova, e mi ha fatto salire alla gola
il senso di colpa, l’inadeguatezza, la frustrazione di tanti italiani come me
che, in situazioni analoghe, provano l’imbarazzo di essere, appunto, italiani.
Eh ma io non sono così, pensa chi legge queste righe.
Tutti lo pensano, tutti lo sono. Chi lo ha votato e chi no,
chi ha fatto finta di non votarlo e ora si scandalizza, chi non trova la forza,
il coraggio, il modo di ribellarsi e si sente debole e impotente.
E io che pensavo che all’estero TUTTI ma proprio TUTTI
fossero a conoscenza di quello che succede nel nostro paese, che in tutti i
paesi europei ci fossero case di accoglienza per italiani in fuga, che prima o
poi avrebbero mandato i caschi blu dell’ONU a salvarci dato che è ovvio ed
evidente che da soli non ce la faremo mai; e invece no, hanno solo una pallida,
pallidissima idea di come sia vivere qui, senza lavoro, senza futuro, senza una
classe politica, senza aiuti, senza scuola, senza ospedali, senza asili, senza
le basi di una società civile.
E allora viene voglia di andare via, di andare in Francia,
dove hanno appena approvato i matrimoni tra persone dello stesso sesso e fare
l’artista è considerato un mestiere, o in Olanda, dove la sanità è gratis e
garantita a tutti, le marjuana è legalizzata e si può girare in bicicletta
senza farsi ammazzare.
Anche se piove sempre e i pomodori sanno di acqua sporca.
Anche se poi tutti son lì ad accusarti di esser peggio di
Schettino, e che è molto più coraggioso restare e lottare. Ma in nome di chi? E
per cosa?
Parlare con Antoine, Gro, Ayaovi, spiegargli cosa vuol dire
essere italiano, ora, dopo vent’anni di malgoverno, malcostume, malaffare, mal…
mal… mala… ti costringe a fare i conti con te stesso, a rimettere in
discussione tutto a farsi la domanda che spesso sorge spontanea leggendo nei
libri di storia, di abomini certo peggiori: ma dov’era il popolo mentre LORO
facevano QUESTO?
Dove siamo popolo? Che altro dobbiamo aspettare?
Questa volta non arrivano gli americani a salvarci gente;
son troppo impegnati con le guerre in Siria.
p.s.
ah già, dimenticavo di dirvi che invece a Gro, l’amica numero 2, è toccata la storia di
Ruby-nipote-di-Mubarak, di Fede e Lele Mora, nonché un sunto sui processi del
pluripregiudicato dal 1995 a oggi. Fortuna che avevamo davanti due mojitos ad
alleggerire i pensieri.
Ma l’espressione di lei, che mi guardava con gli occhioni blu
grandi come piattini e la mascella appesa non me la dimenticherò tanto
facilmente.
E io a fine serata ero pronta per mettere le testa nella
boulle di mojito e lasciarmi morire; o per imbarcarmi per Timbuctu.
Terzo mondo per terzo mondo, almeno in Mali fa sempre caldo,
anche se non c’è il mare!
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