Volevo un figlio maschio e ho avuto un figlio maschio.
Nessuna velleità
edipica, non volevo un principe azzurro in miniatura (per la serie: l’uomo
della mia vita l’ho fatto io… che la terra si apra sotto i miei piedi e mi
inghiotta se mi sentite affermare una roba simile), né la praticità del pisello
per fare pipì in emergenza.
La verità è che non so fare le treccine, e l’idea di una
figlia femmina coi capelli afro da acconciare, mi mandava nel panico.
E a dire il vero mi spaventavano anche i vestitini tutti
fiocchetti e inserti in pelle, le borsette, le Barbie, lo smalto fuxia, le
Lelly Kelly, il primo rossetto, le minigonne, mandarla in giro di sera da sola,
la mancanza di pari opportunità sul lavoro, le mestruazioni, la prima volta, la
ceretta, l’anoressia, la cellulite, gli anticoncezionali, le battaglie
femministe, la dieta, l’indipendenza economica, i tacchi, i “cos’hai? Ma ti
devono venire?”, partorire, conciliare famiglia e lavoro, i ricatti morali, il “trovati
una casa vicino a me così quando sono vecchia mi accudisci” e la menopausa.
Diciamo la verità: i maschi sono più semplici.
E hanno vita più semplice.
Questo non significa però che sia più semplice educarli;
specialmente in una società dove, solo per il fatto di essere uomo, hai la
strada spianata.