martedì 12 gennaio 2016

Violenza gratuita

Entro nell’androne e lui è nel portone.
Avrà una settantina d’anni e assomiglia ad Andreotti, saranno gli occhiali, la pettinatura, la postura…
“Merda…- penso - mi tocca di nuovo prendere l’ascensore con lui”
“Buongiorno!” saluta mellifluo “Come andiamo? Sempre in splendida forma eh?”
E accompagna il commento da un sorrisetto malizioso.

“Eh grazie avvocato, lei è sempre troppo gentile”
E mi stringo il piumino addosso per evitare che i suoi occhi bovini si piantino nella mia scollatura, come succede regolarmente.
Il copione è sempre lo stesso, apprezzamenti non richiesti –a volte anche più pesanti di questo - confidenza non dovuta, ricerca di un contatto fisico del tutto non gradito.
Anche questa è violenza.
Cosa legittima un uomo di settant’anni a fare il porco con una donna che ha la metà dei suoi anni? E com’è possibile che pensi che una donna possa trovare tutto questo piacevole?
Sono le domande che mi pongo da qualche giorno, dopo i fatti di Colonia, e il conseguente stracciarsi le vesti dei maschi italiani che, al grido di “le nostre donne”, hanno preso le nostre difese, trattandoci come sempre come qualcosa di loro proprietà, oggettivato e quasi nemmeno in grado di intendere e volere.
L’unico episodio di molestie che ricordo di avere mai subito è avvenuto sul bus, avrò avuto 14 anni, e lo stronzo di turno ha cominciato a strusciarmisi addosso.
Ricordo solo che a stento intuivo quello che stava succedendo – a 14 anni ancora giocavo con le Barbie, non mi vergogno a dirlo – ma sentivo che era qualcosa di sbagliato per me, di forzato e non desiderato. L’unica prontezza di spirito che ho avuto è stata quella di sgattaiolare e scendere alla prima fermata, che non era la mia, pur di sfuggire a quella sensazione di sporco che improvvisamente mi attanagliava.
Da allora temo che non siano stati fatti grandi progressi nel considerare le donne come vittime – le sole vittime - di violenza ma anzi, nell’affermare la propria emancipazione, pare che le donne si espongano sempre più alla pubblica gogna del “te la sei andata a cercare”.

Ho provato allora a ricordare i miei amori adolescenziali e le situazioni di potenziale rischio in cui mi sono ritrovata in passato. A ben guardare penso di essere stata fortunata, ma non nel senso che me le andavo a cercare – che brutta espressione, abusata quando si parla di violenza sulle donne – quanto piuttosto riferita agli uomini, o ragazzi che hanno sempre avuto grande rispetto di me, del mio corpo e dei miei no.
Mi chiedo a volte quanto fosse un fatto di educazione di una generazione che del sesso sapeva poco o niente, che non aveva accesso al vasto universo pornografico di internet e che ancora si scandalizzava per qualche seno prorompente al “Drive-in”. Una generazione ancora timida benché curiosa, ancora legata a retaggi e valori antichi, che dava ancora importanza alla “prima volta” e i cui approcci al sesso erano più che altro goffi, e mai esibiti.
I fatti di Colonia di cui si parla tanto in questi giorni, hanno come sempre dato via libera a considerazioni violente che inneggiano alla diversità culturale dei paesi islamici dove le donne non hanno libertà e vengono trattate come oggetti.
Ha causato aspre critiche persino la contro-manifestazione del 9 gennaio a Colonia, dove le donne sono scese in piazza contro il razzismo e la violenza. I commenti su questo atto di estrema civiltà sono la cloaca della sub-cultura xenofobe che sta serpeggiando in Italia e in tutta Europa; e i “nostri” uomini, anziché provare a cogliere il germe di intelligenza e tolleranza che poteva nascere da questa manifestazione, hanno preferito esibirsi nel più machista degli spettacoli, accusando ancora una volta le donne e ribadendo l’esiguità del confine che separa noi dalle culture “altre” da cui tanto vogliamo prendere le distanze.
Penso spesso alle foto che circolano sul web di com’erano le donne in Siria e in Afghanistan negli anni ’70, donne libere, che vestivano all’occidentale, studiavano, lavoravano e lottavano per i propri diritti, proprio come le nostre madri.

E oggi, in Europa, siamo così sicuri di avere fatto tutti questi progressi?
Non c’è notizia relativa a violenze sulle donne in cui i commenti principali non siano “se l’è andata a cercare”, con un giudizio che pesa ancora tantissimo sulle nostre teste, e una sorta di giustificazione coatta del maschio predatore.
Viviamo ancora in una società in cui l’impresa di Samantha Cristoforetti ha avuto una grande eco perché compiuta da una donna. E in molti si preoccupavano solo del suo aspetto fisico (Sembra un uomo, ma perché non si trucca?). Hanno subito lo stesso linciaggio mediatico i suoi compagni uomini? Non mi pare.
Nell’Italia del 2015 c’era chi ancora aveva da ridire sullo stupro di una ragazzina di 16 anni da parte di un uomo di oltre 30 anni che si era finto agente di polizia per portarla in un luogo appartato e abusarne. Cosa ci faceva in giro di notte una ragazzina di quell’età? E perché ha dato tanta confidenza ad uno sconosciuto? Queste le prime domande, invece di interrogarsi sul perché un uomo di trent’anni abbia adescato una bambina con meno della metà dei  suoi anni utilizzando la carta dell’abuso di potere di una divisa inesistente.
Viviamo ancora in un’epoca in cui una donna viene automaticamente demansionata o licenziata in caso di una gravidanza.
In cui lo Stato non è in grado di garantire una tutela a 360° in caso di violenze domestiche, lasciando le vittime vivere nel terrore di minacce e persecuzioni di ex mariti e fidanzati che non vogliono rassegnarsi.
In cui una donna per strada deve accettare passivamente apprezzamenti e commenti prendendoli come un complimento.
In cui le nudità femminili vengono utilizzate per reclamizzare set di valigie e olive sott’olio.
In cui sono le donne a doversi difendere, e non gli uomini a dover essere educati.
Fin da piccoli, ed è questo l’impegno che porto avanti ogni giorno come madre di un figlio maschio.
Sento il peso della responsabilità di educare al rispetto dell’altro sesso.
Perché se domani succedesse “un’altra Colonia”, mi piacerebbe che i “nostri” uomini avessero un diritto di parola sostenuto dai fatti, anziché trincerarsi dietro nazionalismi fasulli, per poi passare le giornate a fare battute sconce coi colleghi di lavoro sul culo della segretaria del capo.
Gli inutili proclami secondo cui “l’Islam non rispetta le donne” e i “Se vogliono stare qui devono integrarsi!”, vengono puntualmente disattesi dai comportamenti di tutti i giorni.
In cui nessun uomo può comprendere a quali limitazioni è sottoposta la vita di una donna, anche nel 2016.
I casi di violenza e femminicidio sono all’ordine del giorno – l’ultimo non più di due giorni fa - e non mi pare che i giornalisti o commentatori dell’ultima ora si siano stracciati le vesti, come hanno invece fatto per i fatti di Colonia, urlando allo scandalo “solo” perché si trattava di nordafricani.
Scambiando come sempre accade il dito per la luna, concentrandosi su valori culturali anziché sul fatto in sé.
Nei miei ricordi è saltato fuori anche quello di una sera nei vicoli di Genova; ero uscita dalla palestra, saranno state le dieci di sera, e stavo rincasando, la strada deserta.
Sento dei passi dietro a me, e istintivamente mi sono irrigidita, ho affrettato il passo e stretto la borsa a me.
Mi volto e vedo un ragazzone senegalese carico di borse, che con un sorriso, intuita la mia paura mi dice “No no, tranquilla”, mi sorpassa e se ne va.
Mi piacerebbe trovare maggiore solidarietà dagli uomini in questo senso; che imparassero a mettersi nella disposizione d’animo di non apparire minacciosi ad una donna sola, di sera, in una strada deserta. Che provassero a intuire cosa significa rinunciare ad andare a correre col buio, per timore di un’aggressione.
Oppure, che non credessero legittimo fissare la scollatura di una sconosciuta in ascensore, condendo il tutto da apprezzamenti pesanti.
Io in quell’ascensore torno ad essere la ragazzina di 14 sull’autobus, colpevolizzandomi e chiedendomi cosa ho fatto per provocare comportamenti del genere, anziché arrendermi al fatto che ho a che fare con uno stronzo.
Un uomo non potrà mai capire questo stato d’animo di allerta costante.

E finchè non saremo in grado di cambiare questo, la sottile linea che crediamo ci separi dall’Islam non potrà mai essere abbattuta.

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