Siamo le
guerriere del posto a sedere, pance svettanti al 7 mese di gravidanza, che si
fanno largo nella calca del metrò, sgomitando in competizione con la vecchietta
zoppicante che non appena si aprono le porte sfodera uno scatto degno di Bolt, per
accaparrarsi il posto di diritto.
Siamo le
creative della notte, ninne-nanne estemporanee, inventate alle 3 del mattino
per riaddormentare un fagotto grande come un arrosto che dominerà le nostri
notti per i vent’anni a venire.
Siamo le
velociste della doccia, 47 secondi netti cronometrati, il tempo massimo in cui
il nano resta ipnotizzato davanti a Peppa Pig, prima di meditare nuovi metodi
per schiantarsi al suolo in voli d’angelo dal divano o per soffocarsi sotto una
casetta di cuscini; e il trucco improvvisato, correttore a palate, per
nascondere gli esiti di una notte in bianco, un occhio sì e l’altro a metà, di
sbieco nello specchietto retrovisore, in coda per essere impeccabili al lavoro.
Siamo le
alchimiste della pappa, alla ricerca costante del giusto equilibrio tra
proteine, grassi e carboidrati, del perfetto abbinamento di gusto e
accostamento di colori, a rischio perenne di perdita della vista per cercare
spine, nervetti e pezzetti verdi, abili come i ricercatori del CERN a ridurre
in nanoparticelle fettine di pollo e vitella, a sminuzzare, tagliare, frullare,
atomizzare e micro filtrare purché il nano soddisfi il vero e unico e immenso
cruccio di ogni madre italica: MANGIARE.
Siamo le podiste
dei saldi, “quel giacchino al 70% me lo devo accaparrare ad ogni costo”. Riferendosi
ovviamente al piumino high-tec per il nano, non al Montclair all’ultimo grido per
te, ché l’ultimo acquisto fatto è stata la pancera per fare rientrare la
ciambella adiposa post-partum.
Siamo le
contorsioniste della spesa a serrande abbassate, le artiste delle cene
improvvisate, quando in frigo è rimasto un uovo ed un limone mezzo spremuto, e
la tua dolce metà l’ultima spesa l’ha fatta nel 1991: due birre.
Siamo le
slalomiste da passeggino, conosciamo a memoria tutte le buche e tutte le
scalinate del quartiere, nonché i santi del calendario, che nominiamo con
certosina precisione ogni volta che dobbiamo salire e scendere da un autobus. (Vogliamo
parlarne, degli autisti ti chiudono le porte in faccia se il bambino dorme e tu
non puoi piegare il passeggino? O delle vecchiette che inveiscono “che ai miei
tempi io salivo con due bambini e la carrozzina” – Come no, Si-gno-ra, peccato
che ai suoi tempi si circolasse in carrozza, e all’avvento del tramvai, se ci
si ritrovava in 5 sullo stesso mezzo, autista compreso, si organizzava un
party! - quando a Berlino su ogni autobus campeggiano due enormi adesivi, uno
per le carrozzine dei disabili, l’altro per le carrozzelle dei bambini, a dire
“qui siete i benvenuti”).
Siamo le professioniste
della fiaba, ché era dai tempi de “La donzelletta vien dalla campagna” che non
imparavi un testo a memoria. Ma quando tuo figlio ti costringe a leggere ogni
giorno, cinque volte al giorno “Il bruco mai sazio”, impararla a memoria
diventa necessità: a lui è bastato sentirla tre volte per ricordarsi anche la
punteggiatura, e guai saltare una sola sillaba.
Siamo le
pediatre dei weekend e di ogni festività che manda in terra il Signore: i nani,
lo sappiamo bene, hanno il timer. Venerdì mattina, ti chiama l’asilo: il bimbo
ha due lineette di febbre, che si trasformano alle 17 in un febbrone a 40,
lasciandoti a stento il tempo di chiamare il pediatra che con fare laconico
afferma: sarà la gola, se non passa me lo porti lunedì che cominciamo
l’antibiotico, buon weekend. Chiuse le comunicazioni. E tu, che ormai lo sai,
l’antibiotico lo cominci subito, insieme a dosi massicce di tachipirina, per
avere un pupo perfettamente in forma e saltellante lunedì mattina, giusto in
tempo per tornare al lavoro sfinita da due notti in bianco, rintronata da due
pomeriggi di cartoni animati propinati ad ogni aerosol, e abbruttita da due
sere dove persino Ballando con le Stelle ti pare un programma di un certo
livello culturale.
Siamo le equilibriste
del tempo di qualità: a noi non sarebbero sufficienti 48 ore in un giorno, ma
ce ne facciamo bastare 24, per essere madri, mogli, amiche, colleghe, autiste,
cuoche, badanti, colf, amanti e infermiere!
Siamo le ricercatrici
del tempo perduto: un figlio non arriva mai al momento giusto.
A 20 anni,
rinunci alla formazione universitaria, a viaggi, Erasmus, master, dottorati e
giovinezza.
A 30 anni, nel
bel mezzo della tua carriera lavorativa, “scegli” di restare a casa perché dove
ti hanno assunta ti hanno fatto firmare un foglio di dimissioni in bianco in
caso di gravidanza; oppure rientri al lavoro, e se già al primo figlio ti ha
fatto le scarpe il ventenne neolaureato, al secondo è chiaro che lì, per te, non
c’é più posto nemmeno per fare fotocopie.
E se invece riesci
a tenertelo con le unghie e coi denti quel lavoro, lo stipendio lo versi
direttamente nelle tasche di asili nido e baby-sitter, perché i tuoi genitori
sono ancora giovani, lavorano entrambi, e tua madre sta già facendo la badante
alla sua di madre.
A 40, è l’ultima
follia, “se non lo faccio ora non lo faccio più”. E magari questo figlio non
arriva e allora tocca sottoporsi alla tortura e all’umiliazione di spendere
tempo, soldi ed energie all’estero per tentare la strada della maternità. E se
oggi non è possibile una fecondazione eterologa, domani questo Stato non ti
fornirà assistenza quando tuo figlio starà male, quando avrà bisogno di un
asilo nido, o di un luogo dove passare le vacanze estive o quelle natalizie.
Siamo i premi
Oscar del senso di colpa, mai abbastanza attente, mai abbastanza pazienti, alla
perenne rincorsa del tempo che manca, per chiedere ai nostri bimbi di aiutarci
a preparare la cena,
insegnar loro ad
andare in bicicletta, portarli in piscina, in biblioteca, a spettacoli di
teatro e a laboratori creativi.
Siamo bravissime
a flagellarci per tutti i “non ora”, in risposta ad ogni “mamma, giochi con
me?”.
A piangere di
nascosto per non essere presente ad ogni progresso, e morire subito dopo di
sensi di colpa quando li osserviamo distrattamente, un’occhiata allo smartphone
e una a lui, che ti urla “mamma guarda!”, mostrandoti la pizzetta appena fatto
col pongo, o un mostro disegnato con tratti incerti.
Troppo
frenetiche per avere la possibilità di seguire i loro tempi, e ogni volta che
vorrebbero “far da soli”, interveniamo spazientite, facendo rivoltare nella
tomba la povera Montessori, sempre di corsa, sempre arrabbiate, sempre
frustrate da questo tempo che non basta mai.
Costrette a
delegare tante responsabilità e tanta parte della loro educazione a terzi
Tutto a carico
nostro, in una società che non ci aiuta, che spesso ci gira le spalle. E quando
siamo noi a farlo, il sistema crolla o peggio, crolla chi ci vive accanto,
pensando sia legittimo pretendere
quelle
attenzioni spesso date per scontate e venute a mancare all’improvviso, anche
con la forza.
Del resto si sa,
la colpa è la nostra, che ce la siamo andata a cercare.
(il racconto "Guerriere" ha vinto il primo premio del primo Concorso Nazionale "Essere donna... che impresa!" promosso dal Gruppo Terziario Confcommercio Novara)
(il racconto "Guerriere" ha vinto il primo premio del primo Concorso Nazionale "Essere donna... che impresa!" promosso dal Gruppo Terziario Confcommercio Novara)
Nessun commento:
Posta un commento