Lo sapete, noi donne col nostro parrucchiere di fiducia
abbiamo un rapporto conflittuale, di amore e odio.
Il mio poi è lo storico parrucchiere del quartiere: attivo
dagli anni ’60 (periodo a cui risale l’ultimo rinnovamento di locali e
arredamento, che include un divanetto in cavallino zebrato che ormai è tornato
di moda tanto è vintage, e muri color del pidocchio – cit. Magenta), è diventato ormai luogo di
ritrovo delle vecchiette che amano passare lì il tempo, snocciolando aneddoti,
pettegolezzi e acciacchi come nemmeno al medico della mutua, e sorseggiando
spuma all’ora dell’aperitivo, che lui elargisce a piene mani attingendo al bar
sottostante (anche quello, storico come e più del parrucchiere stesso).
Potete quindi immaginare lo stile…
Ho taciuto sugli appuntamenti accavallati con le suddette vecchiette,
sgomitando tra caschi e bigodini e arachidi salate che accompagnano l’ormai
proverbiale aperitivo.
E visto mia madre uscire sempre sfavillante, con un taglio
da giovinetta, ché alla veneranda età di 70 anni e col suo capello pure Edward Mani di Forbice
farebbe un capolavoro.
Ma quando alla mia richiesta di un taglio alla Anne Hataway,
sono uscita con una cofana che parevo la nonna di Nilla Pizzi ai tempi di
“Grazie dei Fior”, mi sono detta: ORA BASTA!
Tempo di novità, di freschezza, di MO-DER-NI-TA’.
E così mi sono lasciata infinocch attrarre dallo scintillante
mondo di Diego della Palma.
Dove non ti fai le meches, ma il balayage.
A cui si rivolgono le sciure albarine per farsi la tinta
alle sopracciglia per abbinarla al capello.
Dove uno stuolo di ragazzini della scuola di parrucchiere è
lì solo per esaudire ogni tuo desiderio.
E dove c’è LUI.
IL Parrucchiere con la P. maiuscola.
Quello che non deve chiedere mai.
Anzi.
Quello a cui tu non devi chiedere mai, perché lui SA cosa
vuoi.
Entrare nel negozio è come aprire la caverna di Ali Babà e
le 40 acconciature.
Le 50 sfumature di biondo, dove ogni tuo sogno perverso può
essere esaudito.
Le porte a vetri si aprono, e tu sei catapultata nel Paese
delle Meraviglie tricologiche, avvolta dalle fragranze di patchouli e té verde degli
shampoo e dal tepore dei phon.
Un inserviente zelante e palesemente gay ti accoglie, e ti
accompagna al camerino, chiudendo la porta con fare pudico, per lasciarti
sfilare la giacca ed aiutarti poi ad infilare un kimono nero, che ti avvolge
come un bozzolo, da cui sai già che uscirai farfalla.
Ti fa accomodare su una poltroncina e mentre lui ti
raccoglie i capelli in una crocchia da cui scende un ciuffo studiato, e ammicca
nello specchio con il sorrisetto ebete sulle labbra che poteva avere tua una
madre il giorno del tuo matrimonio (il vostro sguardo si incrocia nello
specchio, ed è come se lui ti dicesse “vedi? Basta niente e sei stupenda!”) un
altro inserviente ti chiede cosa gradisci bere: un caffè un te’, una tisana?
E mentre attendi e poi sorseggi, uno sciame di ragazzi e
ragazze ti ronza intorno, come api operaie sempre indaffarate, a farti il test
del capello e della cute, a consigliarti il migliore shampoo o crema
ristrutturante, a levarti il bicchiere vuoto, e a prepararti per il rito
finale: IL TAGLIO.
Decido quindi di lanciarmi in un balayage (naturalmente
sotto consiglio dell’amica Magenta, ché io manco sapevo cosa fosse il balayage,
un’antica arte orientale di rilassamento forse? Ma da Diego della Palma ci si
va preparati, mica pizza e fichi), operato dalle sapienti mani di LUI-IL-Parrucchiere.
Dopo una posa di una ventina di minuti, si avvicina
l’ennesimo allievo della scuola parrucchieri che timidamente mi chiede “posso
farla accomodare al reparto shampoo?”.
No bello mio.
Tu non puoi farmi accomodare al reparto shampoo. Tu DEVI
farmi accomodare al reparto shampoo perché, se non si fosse capito, io sono
venuta qui esclusivamente per quello.
Il reparto shampoo è il paradiso sceso in terra.
Una ragazzina perfettamente truccata e pettinata e con la
french che pare non soffrire le ore di ammollo in acqua e sapone e prodotti
chimici, mi fa sedere su quella che è all’apparenza una volgarissima poltrona.
Ma con due tocchi diventa il giaciglio dell’Eden.
Le gambe si alzano, mettendoti in posizione quasi
orizzontale.
E sullo schienale si attivano decine di piccoli rulli a
massaggiare le tue povere contratture.
Il tutto mentre lei insapona e massaggia e massaggia e
massaggia e massaggia e sciacqua.
E di nuovo daccapo per il secondo shampoo e poi per il
balsamo.
Gaber e il suo shampoo a questo punto si sono inchinati alla
perizia e amorevolezza della fanciulla.
Che, dopo averti portata al limite del Nirvana con vocina
innocente ti chiede.
“Che dice, la facciamo una maschera ristrutturante? Sa, col
colore è sempre consigliabile, costa 15€ ma possiamo metterci dentro quello che
vuole, magari una combinazione nutriente, districante e ristrutturante. Ha una
posa di 15 minuti.”
E tu in quel momento diresti di sì anche se ti avesse
proposto l’impianto sottocutaneo di embrioni alieni che si nutrono del tuo
cervello. (E suppongo sia in quel momento che sono riusciti a vendere uno
shampoo per capelli ricci e biondi alla mia amica CILENA).
Sì, sì e mille volte sì.
Mai 15€ furono più ben spesi.
Perché io non avevo capito che “una posa di 15 minuti”
significasse “altri 15 minuti di massaggio”.
Alla fine dei quali ero in bilico tra l’estasi e il letargo.
Finito lo shampoo lussuoso e lussurioso, eccomi infine nelle
mani di LUI-IL-Parrucchiere.
Che arriva e comincia a tagliare, senza aprire bocca, con
fare deciso, perché LUI SA.
Taglia, spunta, scala, accorcia, modella e sfila senza dire
una parola, e io che tremo e fremo, non potendo nemmeno sbirciare il risultato,
ciecata come sono senza occhiali.
Passa poi alla piega, con colpi energici di spazzola che
creano onde spettacolari sulle punte.
E il risultato finale è splendido.
Una Farrah Fawcett 2.0 de noiatri. Secondo Magenta. E io mi
fido.
Giudicate voi!
Almeno sono riuscita ad avanzare di un paio di decadi
rispetto a Nilla Pizzi!
p.s.
Si ringrazia Magenta per i consigli e il dissacrante
montaggio foto.
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