Quando un atteso weekend a Roma comincia trovando Raoul Bova
sul tuo stesso volo, sai già che il meglio deve ancora arrivare.
Naaaa, non ci siamo avvinghiati sull’ultima fila di sedili
dimentichi di Rocio e dell’Uomo nero. Moooolto meglio.
Che poi a vederlo dal vivo bah… me lo aspettavo più alto.
Disse la volpe che non poteva raggiungere l’uva.
Un gran bel figo, col 47 di piedi - non c’è pericolo di
cadere per terra con una proporzione così - nonostante il cappellone di lana nero calato
sugli occhi per non farsi riconoscere.
All’aeroporto di Genova, grande circa come la
dependance di una delle tenute di Al Bano, non ha fatto in tempo a mettere
piede al bar, che sapevano della sua presenza anche gli addetti alle pulizie.
Inoltre il genovese si sa, è sarvego, e la soddisfazione di
riconoscerti non te la da.
Infatti gli unici ad avvicinarlo sono stati due ragazzotti
napoletani. Io e Magenta ci siamo limitate a rimirarlo da lontano, che porca
vacca quegli occhi verdi si illuminano anche a 30mt di distanza.
Chiuso il siparietto Raoul Bova, eccoci dunque in partenza
alla volta di Roma, io Magenta, due trolley e tanta voglia di divertimento,
coccole e distrazione.
E quando ad accoglierti a Roma hai E. e S. e i loro
adorabili canini, Elvis e Priscilla, sai con certezza che il meglio è definitivamente arrivato.
A Roma ero stata nel 1999, fresca del primo anno di Beni
Culturali, era stata una vera e propria full immersion nella storia e
nell’anima del nostro Paese.
Roma non delude, nemmeno dopo 16 anni, scendere al Colosseo,
e trovarsi davanti questa meraviglia salite le scale della metro, è sempre
un’emozione incredibile.
Passeggiare nel centro inciampando in colonne e capitelli,
ammirando i Fori, respirando la storia in ogni angolo, quella antica e quella
recente, dei film anni ’60, dell’Italia fascista e del dopo guerra, ammirare
Trastevere e il ghetto ebraico, e pensare a quanta vita è passata di lì… beh,
ti fa rendere conto una volta di più della fortuna di essere italiani.
E ancora una volta constatare con amarezza come questo
patrimonio sia lasciato lì, scontato, maltrattato, spesso ignorato.
Siamo seduti su una miniera d’oro e ancora preferiamo il Mac
Donald e lo shopping al centro commerciale. O lo stadio.
Ho visto la Barcaccia appena una decina di giorni prima che quei barbari devastassero tutto, sig...
Passiamo a Piazza Venezia, davanti alla finestra del Duce, e
in Campidoglio, quasi ignorando la geometria perfetta studiata da Michelangelo.
Fino a quando io e Magenta abbiamo la brillante
illuminazione: andiamo a vedere il Mosé.
E. ci guarda storto, ma io e Magenta siamo irremovibili.
Cominciamo a chiedere informazioni e a vagolare come tre
deficienti
“no aspetta, ha detto a sinistra, ma dopo il collosseo”
“eppure io me la ricordavo in un vicoletto…”
“ma no è da questa parte!”
Ci fermiamo e ci guardiamo negli occhi: è definitivamente
arrivata l’ora di mangiare!!
E. come un cane da tartufi si getta su per una stradina
lastricata, incorniciata da palazzi deliziosi, con balconi in ferro battuto e
facciate ricoperte di edera.
Ma ‘sticazzi il panorama (visto? 2 giorni a Roma, ed ho
imparato l'uso corretto dello “sticazzi”, fino ad oggi utilizzato
impropriamente con l’accezione dell’”acciderbolina!”), abbiamo fame!
“Mi ricordo di un posto strepitoso qui dietro che fa delle
provole alla piastra condite che sono la fine del mondo”
E in pochi minuti ci ritroviamo con le gambe sotto il tavolo
in quella che era l’antica birreria Peroni.
Mandando a monte il buon proposito del “a pranzo teniamoci
leggeri, che stasera ci aspetta la trattoria tipica”, ci siamo spazzolati
provole con tartufo e funghi porcini da lacrime agli occhi, un contorno di
trevigiana, carciofi, e broccoletti e patate commoventi, e un dolce al
cucchiaio che, dopo il primo assaggio, ci ha fatto essere talmente libidinosi e
in pace col mondo che eravamo pronti a limonare tra di noi e con tutti gli
avventori come in una grande comune hippie.
Inutile dire che qui, come in tutti i posti che E. e S. ci
hanno fatto esplorare, il servizio è stato più che impeccabile; roba da farti
sentire proprio a casa dalla nonna. Mancavano la borsa dell’acqua calda e i buffetti sulle guance, e il quadro sarebbe stato completo.
Dovete capire che noi vediamo da Genova, la patria del
“torta di riso finita”, dove l’ospite puzza dopo un quarto d’ora e se ti danno
da mangiare al ristorante sono loro che ti stanno facendo un piacere.
Quindi tutta questa cortesia e affabilità e voglia di
metterti a tuo agio anche se solo per pochi minuti mi hanno fatta essere felice
di essere al mondo, solo per essere coccolata così.
La perfezione del pranzo ha voluto anche che ci evitassimo
lo scroscio d’acqua, e che invece un bell’arcobaleno ci accogliesse all’uscita,
direzione S. Pietro in Vincoli alla scoperta del Mosé.
E chissà come mai, ma con la pancia piena la troviamo in due
minuti netti.
Ed io, che con tutto il mio savoir faire genovese, esordisco
nella piazza antistante la chiesa con un “belin, ma me la ricordavo molto più piccola
e inculata…ata…ata…ata”
Ché come se non bastasse, pure l’eco ci si è messa ad
amplificare la figuraccia rimediata.
La passeggiata continua, ed io ed E. siamo piuttosto
concentrati nello scovare i vips a passeggio, salvo prendere continue cantonate.
Il primo è Augias, il nostro mito.
Io ero già pronta ad accasciarmi in ginocchio come davanti
alla Madonna di Medjugorie, E. che mi guarda con gli occhi fuori dalle orbite e
mi dice “ma… èAugias”? rafforzando quella che per me è ormai certezza.
Ma non era lui.
Poi è il turno di Barbara Bouchet.
Eravamo talmente convinti che Magenta che se l’era persa,
l’ha rincorsa per poi fare un’inversione secca a U e vederla in faccia.
Non era lei, che ve lo dico a fare?
Direi che questo passerà alla storia per il weekend del “hai
visto quello come somigliava a…?”
Siccome si è fatta una certa E. ci lascia in via del Corso
per rientrare a casa, dove con S. stanno allestendo il gran finale della
serata, per il quale non possiamo assolutamente essere presenti. Sorpresa ad
effetto!
Eeeeh già, perché dopo un menaggio durato circa una settimana
(ma del valore effettivo di un quarto d’ora… S. non vedeva l’ora!) abbiamo
convinto S. a sfoggiare la sua meravigliosa collezione di Barbie, che comprende
pezzoni originali anni ’60 e una serie fantastica di personaggi famosi, da
Farrah Fawcett a Cher, passando per Liz Taylor, James Dean, Frank Sinatra e.
che ve lo dico a fare?; Elvis e Prisicilla!
Magenta in visibilio, io commossa, essendo passata alla
storia come l’unica bambina del mondo occidentale ad avere avuto solo due
Barbie nella sua triste infanzia, S. e E. gonfi come pavoni dei loro trofei, a
raccontarci le peripezie per accaparrarsi i vari pezzi su Ebay assemblando
bambole e vestiti fino ad ottenere gli originali completi.
E sul gran finale a ricordo della serata veniamo omaggiate
dall’originale Barbie Superstar; non potete capire le mie
lacrime di gioia (anzi a dire il vero mi sono svegliata di soprassalto perché
nel frattempo si era fatta l’una di notte e il testone ciondolava) nell’entrare
in possesso della terza barbie della mia vita.
E se questo non è amore...
Inutile dire che la sto conservando come una reliquia nella sua scatola, ben nascosta, perché Pu vorrebbe ovviamente metterci le mani sopra e non se ne fa una ragione.
Abbiamo provveduto ovviamente ad uno shooting di cui vi
riporto solo alcuni dettagli segretissimi…
Me ne sono incaricata personalmente, per rimediare all'abbiocco della sera prima...
Allora, premesso che "Dolce" merita un post a parte... come faccio a spiegarvi cos’è “Dolce”?
E' il paradiso dei golosi, dove ogni dettaglio è creato per
far gioire i 5 sensi, a partire dal laboratorio di p asticceria a vista, dove si
possono osservare i pasticceri all’opera mentre creano le deliziose cheese cake
e i pancakes, passando per l’arredamento, vintage ma di un gusto strepitoso,
per nulla scontato, fino ad arrivare al personale, composto per lo più da
ragazzi giovanissimi, professionalissimi e fighissimi.
Io e Magenta avevamo gli occhi da cerbiatto e ridevamo come
liceali ogni volta che uno dei camerieri veniva a prendere le ordinazioni,
probabilmente ci saranno abituati, ma signora mia avesse visto che popò di
figlioli che circolavano per il locale, sempre sorridenti e disponibili che ti
viene da chiederti perché il dessert non te lo possano servire in boxer, per
esempio.
Dettagli carnali a parte, ho dovuto ripiegare su uno degli
hamburger più buoni della mia vita, preparato al momento con ingredienti fatti
in casa, dalle salse, ketchup e maionese, al pane e alle patatine fritte, e
utilizzati mescolando cucina internazionale e tradizione locale (un esempio su
tutti: il guanciale al posto del bacon), in un equilibrio assolutamente
perfetto di sapori , ospitalità e cura dei particolari.
La prima cosa che ti chiedono di ordinare è il
dolce, per l’appunto, che viene preparato al momento, e servito fresco, alla
fine del pasto. Per dire.
Per non parlare delle centrifughe, avrei voluto farci il
bagno in quella che ho preso, e il caffè americano, praticamente perfetto.
In sintesi.
Sono stati tre giorni meravigliosi, all’insegna delle
coccole e di quelle risate che sono meglio di una seduta da due ore di crunch e puma e sticazzi...
Avrebbe potuto rasentare la perfezione ma, se sull’aereo all’andata
ci siamo godute lo spettacolo Raoul Bova, al ritorno abbiamo dovuto accontentarci dei Ricchi
e Poveri (e io ed Angela che abbiamo aiutato un ragazzo a prendere la valigia,
e in quel momento Magenta stava contando i quadretti del suo sedile anziché
guardarmi nel mio momento di gloria Uips!) ma non si può avere tutto dalla
vita!!
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