Ho seguito a sprazzi nei giorni passati la questione delle quote rosa, esplosa come priorità improvvisa di questo paese malato.
Come se ad un momento all’altro ci fossimo accorti che sì,
in questo paese ci sono anche le donne, e sì, ricoprono sempre o per lo meno
spesso, ruoli minoritari, al lavoro e nell’intera società.
Trovo la protesta delle donne di Forza Italia il vero
insulto rispetto a tutta la faccenda.
Vedere lo stuolo di donnette piazzate lì
non si capisce bene per quali capacità dal loro potente padrone, parlare di
meritò, di bravura, di
strumentalizzazione ecco, sarebbe quasi comico se non fosse drammaticamente
reale.
Brambilla, Prestigiacomo, Gelmini, Carfagna, che osano
mettersi in bocca parole pulite che rimandano all’onestà e al merito è a dir
poco stomachevole, se pensiamo a cos’altro è passato per quelle bocche per far
sì che queste signorine stiano a lì pontificare di quote rosa e parità di
genere.
E che ancora una volta un partito sedicente di sinistra
scenda a patti con questo letame umano, fa capire sempre più in quali
condizioni disperate versi il nostro Bel Paese.
Le quota rosa in parlamento, perché anche in Germania e in
Norvegia le hanno.
Già peccato che in Germania e Norvegia non abbiano la
percentuale scandalosa, altro bel primato italiano, di raccomandati, amici e
figli di, condannati, prescritti e indagati che abbiamo noi.
Ripuliamoci dalla feccia, e poi cominciamo a parlare di
quota rosa, se proprio ne sentiamo la necessità.
Ma facciamolo a tutto tondo, non solo in parlamento.
Dove sono le quote rosa in un ufficio qualsiasi, il mio, dove
su 12 persone solo 4 sono donne e l’ultima assunta sono stata io, 10 anni fa.
Perché le donne hanno questo brutto vizio di fare figli, e
di vedersi costrette a rinunciare alla carriera.
Dove sono in famiglia, quando alle donne è richiesto di
essere contemporaneamente mamme, lavoratrici, colf e sempre più spesso anche
badanti.
Dove sono le quota rosa ai colloqui di lavoro, dove bisogna
nascondere la fede, assicurare che un figlio piccolo non impedirà un buon
rendimento sul lavoro, o essere costrette a firmare un foglio di dimissioni in
bianco, in caso di gravidanza.
E dove sono, quando per ottenere una promozione o un posto
prestigioso è più facile aprire le gambe che rimboccarsi le maniche.
Dove sono le quote rosa quando si parla di salari e
stipendi, se quelli delle donne, a parità di ruolo, sono sempre nettamente
inferiori a quelli dei colleghi uomini.
Dove sono le quote rosa quando si parla di legge 40, di
assistenza e di cura e invece tocca leggere notizie agghiaccianti come quella
di oggi, la trovate qui.
Dove sono ai concorsi pubblici, quando ti vedi fare la
scarpe dal figlio del dirigente di turno.
Dove sono le quota rosa quando una donna si deve ritrovare a
scegliere tra un figlio e la carriera o, ancora peggio, tra il proprio lavoro e
la famiglia, rinunciando in fin dei conti a stessa.
Dove sono le quota rosa quando a noi donne sono demandati
ruoli diversi e molteplici, quando ci è richiesto di sapere fare tutto e di
saperlo fare bene, dando per scontati sacrifici e rinunce.
E quando si parla di uomini, i loro sacrifici e le rinunce
vengono accolti col plauso della società, portati in palmo di mano come modelli
esemplari.
Dove sono le quote rosa, se per compiacere i maschi ci è
sempre richiesto di adeguarci a canoni estetici imposti, a comportamenti
adeguati, a mode socialmente accettate e accettabili, soprattutto dall’universo
maschile.
Ancora una volta questo delle quota rosa è un pretesto come
un altro per farci trattare come una sottocategoria, come una specie in via di
estinzione, come una minoranza a cui dare il contentino di tanto in tanto.
L’8 marzo, le quote rosa, una rubrica di approfondimento sul
femminicidio.
Pilloline per addolcirci e ammansirci, nella speranza che
ancora una volta ci dimentichiamo chi siamo.
Questa è la vera discriminazione.
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