lunedì 25 novembre 2013

Parole parole parole


E’ stata una settimana intensa questa, ricca di notizie, di tragicità, di clamore e scandalo.
Avrei l’imbarazzo della scelta su cosa commentare, dalla tragedia in Sardegna, allo sciopero selvaggio che ha coinvolto la mia città nel silenzio imbarazzante dei media, fino all’ennesimo scandalo di Berlusconi.

Potrei spendere fiumi di parole e pomeriggi interi di mugugno sulla decadenza dei costumi e sullo schifo che domina in questo paese.
Ma sapeste come sono stufa di queste paroleparolesoltantoparoleparolefranoi.

Questo spreco di lemmi, espressioni, locuzioni, definizioni, etichette, opinioni, giudizi… ogni volta che succede qualcosa in questo paese troviamo uno stuolo di esperti che devono per forza dire la loro.

Che è quello che faccio anche io, direte voi, giustamente. Sì, ma io non sono nessuno, il mio è chiacchiericcio da bar, come potrei fare con un’amica intelligente e informata, o come è successo domenica a pranzo, dove abbiamo unito 4 solitudini, 4 nazionalità e 4 aspetti differenti della crisi intorno a un piatto tipico della cucina africana.

Il problema si pone quando le chiacchiere da bar le fanno governatori di regioni, capi della protezione civile, europarlamentari o sedicenti esperti, facendomi cascare le braccia, per non dire altro che non ho.

Quella che “ah ma che ignoranza, ma come si fa a rifugiarsi in uno scantinato durante un’alluvione”. E per fortuna ci ha già pensato la prof.ssa Moncelsi a risponderle.

Quelli che “scioperare non serve a niente, cosa penseranno di ottenere”. E già. In effetti storicamente gli scioperi non sono mai serviti a niente. Del resto oggi non è nemmeno più un diritto ammalarsi, figuriamoci scioperare.

E ancora quelli che straparlano delle ragazzine che si prostituivano ai Parioli: fior fiore di psicologi a dare la colpa di questa decadenza di costumi all’assenza di una figura paterna.
Complimentoni. La sconvolgerebbe Sig. Professoredeimieicojoni sapere quanto è diffusa questa pratica, nei bagni delle scuole e nell’intimità della cameretta di molte 14enni, compagne di scuola di figlie di amici e conoscenti; ché per fortuna il mio nano ha solo 2 anni e non posso vantare esperienza diretta. Non ancora per lo meno.
Come no, l’assenza della figura paterna.
Perché invece fare un po’ di zapping o sfogliare una rivista qualsiasi non ci fa venire nessun dubbio, no.
Guardare L’eredità o colorado, e chiedesi quali doti deve avere una donna per finire a fare quel mestiere lì. E poi leggere le dichiarazioni di Ruby sulle “cene eleganti” e capire di colpo quali sono le doti richieste. E dirsi “perché no? E’ un gioco di mercato in fondo. Dare e avere. Ricariche telefoniche in cambio di pompini. Prestazioni da set di film porno di bassa lega in cambio di un posto in parlamento”.
E il problema sarebbe l’assenza di una figura paterna?
Forse sì.
Di una come mio padre però. Che mi avrebbe gonfiata di sberle (essì, proprio oggi), e messa sottochiave fino a 60 anni. Di certo non una in stile GrandeFratelloAmiciUominiEDonne. Che magari si indigna per la figlia zoccola ma poi sbava dietro alle sue compagne di scuola. E non potendole toccare si sfoga in Brasile, Africa o Thailandia.
Che gli uomini italiani si son beccati pure questo bel primate (scusate il refuso, mi è uscito e lo lascio) lo sapevate? (e fa anche rima!). Che poi primate; le scimmie hanno senz’altro più dignità di questi laidi bavosi.
Così, pour parler, che gli approfondimenti su questo schifo li lascio a voi.

E infine oggi eccoci qua.
Alla giornata contro la violenza sulle donne.

Che io già lo so che mi dovrò sorbire anche uno speciale di Bruno Vespa su ‘sto tema.
Con ospiti la Barbara d’Urso e Massimo Giletti.

A sentire paroleparolesoltantoparoleparolefranoi.

Che le donne non sono oggetti e non devono farsi trattare come tali (disse la famosa soubrette carica a tal punto di botulino e silicone da non riuscire a smettere di apparire perennemente sorpresa di avere la 6 di reggiseno)
Che le donne devono avere rispetto di sé e farsi trattare rispettosamente (disse la parlamentare approdata agli scranni della camera per le notevoli doti orali)
Che le donne devono smettere di rincorrere il mito dell’eterna giovinezza, e una 50enne ha molto più fascino di una ventenne (disse il famoso conduttore televisivo 55enne accompagnato a una 25enne).
Che una donna al primo schiaffo deve andarsene e non voltarsi indietro (disse la giovane assassinata dal fidanzato, che si era rivolta alle autorità per sentirsi rispondere “senza prove non possiamo fare nulla. La prossima volta se le faccia dare bene sul volto, con tanti lividi, così vedrà che lo arrestiamo subito.)

Io sono un po’ stufa di sentirmi trattare come una categoria protetta, come una specie in via di estinzione, come una razza di cui siano vivi ormai solo pochi esemplari.

So che sono impopolare ad affermare queste cose, ma trovo inutili e ridondanti le campagne sulla violenza sulle donne, perchè tante volte il messaggio che passa è che siamo noi a dover cambiare, noi che dobbiamo lottare, resistere, trovare il coraggio e la forza di non farci maltrattare.
 
Quando il problema è alla radice, in una società maschilista, ancora terrorizzata dall’autonomia e indipendenza femminile e ancorata a cliché arcaici di ruoli e competenze, fuori dai quali una donna non è autorizzata a mettere piede, e nel caso lo facesse merita di essere rimessa al suo posto a schiaffoni.

E quel che è peggio è che questo atteggiamento è tanto maschile quanto femminile.

Perché pensieri come: “se l’è andata a cercare” o “quella zoccola ha fatto carriera solo perché è andata a letto col capo” e ancora “ma come si veste quella?” non hanno genere. Né per chi li formula né per chi li riceve.

E allora credo che si dovrebbe ripensare il ruolo femminile alla radice. Cominciando a fare un serio lavoro sui maschi; e questo discorso mi sta davvero a cuore, essendo io madre di un maschiaccio, italico e africano, la summa del maschilismo mediterraneo mescolato a quello del sud del mondo.

Se un uomo picchia una donna ci sono due azioni da fare; una immediata: mettere la donna in sicurezza, prendendo tanto per cambiare esempio dall’estero. Creare la rete di sostegni e aiuti di cui queste donne hanno bisogno, dall’inizio alla fine del loro percorso. Cosa che troppo spesso manca qui da noi. Guardate cos’ha messo in piedi questa grandiosa avvocatessa londinese, qui
In Italia secondo voi saremo mai in grado?

L’altra nel lungo termine. Riflettere come un uomo sia arrivato a tanto, perché si sia sentito legittimato ad agire con violenza. E lavorare affinché questo non accada più sulle prossime generazioni di maschi. Perché su quelle passate c’è poco da fare, un violento se ne sbatte delle sciarpe rosse, dei flash mob, delle distese di scarpe rosse.
Sarò impopolare, ma è questo che credo. Trovo umiliante e terribile segno di degrado il fatto che una paese che si suppone civile e democratico sia costretto ad emettere leggi per difendere “categorie” (dio che orrore, siamo una categoria, rendiamoci conto), come donne e omosessuali.
E’ un fallimento su tutta la linea.
E’ tutto meraviglioso e giustissimo, ma altrettanto ipocrita, se al momento del fare le istituzioni si girano dall’altra parte e i messaggi che passano quotidianamente sono sempre quelli: che te le cerchi, che non sei all’altezza, che sei debole e vittima. Se invece di formare e informare ci limitiamo, senza successo peraltro, a proteggere.
Vi faccio un esempio.

Quest’estate una donna è stata assassinata a Rimini in circostanze tuttora nebulose (si parlò alla fine di suicidio); Repubblica esordì commentando l’accaduto con un “Descritta come una bella donna…”, salvo rettificare il giorno dopo.
Insinuando così sottilmente che il fatto di essere bella poteva essere il movente di quell’omicidio.

E se invece fosse stata brutta, non avrebbe mai potuto attirare l’attenzione dell’uomo che forse l’ha assassinata.
Le stesse insinuazioni rivolte alla giovane brasiliana uccisa a Brescia qualche settimana prima, ve la ricorderete; con l’aggravante, lei, di essere incinta.
Anche la bellezza adesso diventa una discriminante, un’arma, un pretesto.

Ed ecco un’altra volta l’importanza e il peso delle paroleparolesoltantoparoleparolefranoi.

Una velata accusa: te la sei andata a cercare.
Perché ti truccavi in modo troppo appariscente, e quei pantaloni erano troppo aderenti, e uno come fa a resistere di fronte a un culo così? E’ un’offerta la tua, non si può dire di no.
E guarda cosa succede se mi dici di no.

E ancora una volta, gli uomini tutto questo non devono subirlo. Ma lo impongono a noi.

E allora io vorrei che “descritta come una bella donna” diventasse la nostra bandiera, lo vorrei vedere scritto sulla faccia di ognuna di noi, non sul nostro necrologio.
Vorrei che la bellezza tornasse alla sua dimensione reale di forza, capacità e potenziale di ogni donna, che oggi camminava fiera col suo berretto o sciarpa o cappotto rosso, non uno strumento vuoto, ridotto a canoni estetici stabiliti (possibilmente da qualcun altro).
Vorrei che nessuno potesse mai più farci sentire vittime, oppresse né, tanto meno, una specie da salvare e proteggere.

E vorrei che quando uno stronzo ci mette le mani addosso, fosse uno stronzo che ci mette le mani addosso agli occhi di tutti, senza se e senza ma. Ma di strada da fare ne abbiamo ancora tanta, tanta, tanta.
Ma per fortuna, abbiamo ai piedi un paio di robuste scarpe rosse.

2 commenti:

  1. è bellissimo !!! mi ha commosso!
    Lorna

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  2. Grazie Lorna, l'ho scritto di getto... sono felice che ti sia piaciuto!

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